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L’ultima intervista di Ayrton SennaLeo Turrini - 23 aprile 2019

Avremo modo di parlare di Baku, degli aggiornamenti Rossi di cui avevo riferito giorni fa, eccetera.
Intanto avviso i frequentatori di questo ameno luogo della materializzazione di un libriccino intitolato “Il mio nome è Ayrton”.
L’ho scritto io.
È la riedizione integrata del fortunato volume di cinque anni fa.
Ho recuperato la mia ultima Intervista a Senna.
L’avevo realizzata a Interlagos, a marzo del 1994, alla vigilia del Gran Premio del Brasile.
Allora avevo riportato sui giornali solo le parti della conversazione legate alla strettissima attualità.
Nel libro c’è tutta, nella sua semplicità. Dialogammo su Prost, su Mansell, sul giovane Schumi, sulla Ferrari di Montezemolo e Todt, eccetera.

La mia giovinezza svanita.

E così, un quarto di secolo dopo, riesco anche a pagare un debito, quasi a rimuovere un senso di colpa che mi accompagna da un quarto di secolo.
Era il pomeriggio del sabato 30 aprile.
Avevamo appena saputo che per Roland Ratzenberger non c’era nulla da fare.
Incrociai Ayrton nel paddock.
Era stravolto.
Mi fece capire con lo sguardo che non aveva voglia di parlare.
Gli diedi retta.
Non me lo sono mai perdonato.
Naturalmente, so perfettamente che non sarebbe cambiato niente.
Ma è un rimpianto.
Un rammarico.
Un piccolo dolore.
Dal giorno dopo, dalla sera dell’1 maggio 1994, ho promesso a me stesso una cosa.
Mai trattenere una parola verso una persona cui vogliamo bene.
Mai.
Mai.
Mai.
Potremmo pentirci, per sempre, di quel silenzio.
Grazie.