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Addio a Vialli, amico ferraristaLeo Turrini - 6 gennaio 2023

Più di una volta, nei corridoi di Sky, mi sono imbattuto in un tifoso Ferrari che inesorabilmente mi chiedeva quando la Rossa sarebbe tornata a vincere. E si fidava della mia sgangherata opinione.
Lui si chiamava Gianluca Vialli.
Questo sotto è il mio ricordo, pubblicato da Carlino/Nazione/Giorno.
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Chi c’era, non fa fatica a comprendere perché il lutto per la scomparsa di Gianluca Vialli sia un sentimento condiviso, collettivo. Dico chi c’era a cavallo tra fine Anni Ottanta e inizio Anni Novanta del secolo scorso.
Quello, lo confesso con una punta di patetica nostalgia!, fu forse l’ultimo periodo in cui noi italiani ci sentimmo ottimisti. Di lì a poco sarebbe arrivata la dissoluzione della Prima Repubblica, si sarebbe materializzato lo shock di Tangentopoli e le orrende stragi di mafia avrebbero aperto gli occhi di tutti su quanto, prima, solo eroi come Falcone e Borsellino erano stati in grado di intuire.
Ecco, fate caso a quel termine di cinque lettere: “prima”. Prima di tutto questo, con il suo calcio allegro, Vialli incarnava la lunga coda del Boom socio economico. Apparteneva, con i suoi gol e con i suoi dribbling, ad un Paese che respirava ancora speranza. Anche nelle piccole, minute cose del pallone: c’è stato un periodo in cui lo scudetto della serie A potevano vincerlo il Cagliari di Gigi Riva (nel 1970), la Lazio di Giorgio Chinaglia (nel 1974), il Verona di Osvaldo Bagnoli (nel 1985). E infine la Sampdoria di Vialli e Mancini, più Pagliuca portierone, nel 1991.
Dopo, nulla del genere più fu possibile. Era scattata l’omologazione e andava estinguendosi l’idea stessa di “ascensore sociale”. Oh, so bene che bisogna guardarsi dalle banalizzanti suggestioni: eppure la Samp del Vialli e del Mancio cos’era, idealmente, se non un calcio negli stinchi delle diseguaglianze?
Ma non la butterò in politica e men che meno in filosofia. Sto semplicemente tentando di spiegare perché generazioni oggi con i capelli ingrigiti abbiano visto in Gianluca qualcosa più di un bomber, di un goleador. E immagino che, fosse dipeso da lui, alla Juve che poi amo’ e con la quale vinse la Champions manco ci sarebbe andato: mica per niente anni prima (sempre prima, eh, dannata parola) Vialli aveva detto no ad una miliardaria proposta di Silvio Berlusconi, che fortissimamente lo voleva al Milan. Rifiutò con garbo, perché ci teneva a conquistare il tricolore con la Samp. Con il Mancio.
Eh, Mancini! Non è difficile immaginare lo strazio che sta turbando l’animo suo. Ha perso in un colpo solo due amici fraterni, Sinisa e Gianluca. Pezzi di una vita che mai e’ soltanto nostra.
Mi hanno raccontato che quando il Male fece il suo crudele ingresso nel fisico di Vialli, beh, all’inizio Luca scelse di non dire nulla a Roberto. Preferiva risparmiare all’amico l’angoscia della condivisione. Poi però cambiò idea, ma all’annuncio il ct della Nazionale rispose sotto voce: lo sapevo già.
Che sarebbe di noi, di tutti noi, senza riferimenti in carne e ossa, senza fedeltà irrinunciabili? Ecco, Vialli e Mancini questo sono stati, l’uno per l’altro. Vederli assieme, felici dipinti d’Azzurro per un trionfo Europeo come accadde a Wembley nel 2021 o delusi per una mancata qualificazione ai Mondiali, sì, vederli assieme è sempre stato bellissimo. Perché, uniti!, ci rimandavano a quella idea di Italia, remota e perduta, che ho descritto all’inizio.
Io ho conosciuto Vialli quando aveva smesso di rincorrere un pallone in mutande. Ci siamo trovati talvolta negli studi televisivi di Sky e sempre mi colpiva la curiosità per mondi che non conoscevo, intendo ad esempio la Formula Uno. Una curiosità accompagnata da una mitezza che traspariva già dagli occhi. Non se la tirava minimamente: non ti faceva pesare la sua storia di Campione con la maiuscola e aveva il dono dell’ironia, anche rivolta verso se stesso.
Credo sia stato, fino alla fine, un uomo coraggioso. Non siamo in pochi ad avere perso persone carissime per quel dannato tumore al pancreas. Quando Gianluca ne parlava, con la stessa eleganza che usava in area di rigore, io rivedevo istintivamente i sorrisi di chi non ce l’aveva fatta e sommessamente, intensamente, silenziosamente facevo, una volta ancora!, il tifo per lui.
Per Gianluca Vialli, che adesso, purtroppo, non c’è più.