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A Melbourne, con Schumi. E con KimiLeo Turrini - 19 marzo 2018

Allora, ci siamo.

Della Australia io ho ricordi molto belli.

E’ il paese in cui vorrei vivere, se non fossi innamorato di questa Italia sgangherata.

Tra Gran Premi di Melbourne, Olimpiade di Sydney eccetera, ho trascorso un sacco di tempo tra canguri e koala.

E i ricordi del cuore non passano mai.

Come la prima volta di Schumi vestito di Rosso.

Era il 1996.

Allora tutto ancora era da fare e io se avessi previsto causa e pretesto, eccetera.

Insomma, non sono mai stato amico di Michael. Perchè lui non voleva amici tra i giornalisti. Nessuno.

Dal suo punto di vista, aveva ragione.

Ma era impossibile, quel week end all’Albert Park, non riconoscersi in lui. Non identificarsi in quanto stava iniziando a fare.

Lo guardavo sulla griglia di partenza e ricordo ancora, ventidue anni dopo, che pensai: questo qui è l’uomo che realizzerà i miei sogni di eterno bambino tifoso.

Non sapevo quanto e per questo, quando penso a lui oggi, mi viene un magone che non va nè su nè giù.

Quella domenica della prima volta su Melbourne picchiava un sole da ustionarti. Schumi si ritirò quando era terzo dietro le due Williams. Stranamente, non andai in depressione. Stavo in un alberghetto gestito da italiani originari di Perugia. Erano gentilissimi. La signora alla sera mi disse: però, è andato forte fin quando non ha rotto.

Le risposi: e vedrà il seguito.

Poi venne il 2007.

La prima volta di Kimi di Rosso vestito.

Oh, lo so, lo so.

Tanti pensano che la mia debolezza per il Santo Bevitore sia fragilità senile.

In fondo, condivido.

Non conosco nemmeno lui.

Una volta mi ha mandato un sms. Affettuosissimo.

Clamoroso al Cibali!

Lo vidi vincere, all’Albert Park nel 2007.

Non credo sia un caso se nella storia della umanità pochissimi siano i bipedi che possono dire di aver conquistato il mondiale di Formula Uno guidando la macchina del Cavallino.

Il resto è schiuma.

A me piace la birra, non a caso.

Sto invecchiando con le mie memorie, le mie ansie, le mie speranze. E’ importante non credersi un gigante, pur sapendo quanti pigmei ci siano in giro.

E adesso, caro Vettel, …I got you under my skin…