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20 anni senza il ferrarista Gianni AgnelliLeo Turrini - 22 gennaio 2023

Venti anni fa, nel gennaio 2003, se ne andava Gianni Agnelli.
Sull’imprenditore, l’industriale, l’uomo di finanza, il senatore a vita, beh, ho una mia idea che non collima alla perfezione con la narrazione agiografica.
Ma in questa sede a me interessa ricordare l’Avvocato Ferrarista.
L’ho incontrato spesso nel paddock dei Gran Premi. Erano conversazioni fugaci e smozzicate, in compagnia di tanti colleghi.
Gianni Agnelli era una persona gentile, con noi scribacchini: capiva il mestiere e non si infastidiva se qualcuno gli urlava dietro una domanda su Lauda, Alboreto, Schumi.
Insomma, per dirla in gergo un titolo te lo dava sempre!
Una volta, però, accadde una cosa meravigliosa.
Era il 1997. Tarda primavera. La Ferrari stava celebrando i suoi 50 anni. In pieno centro a Modena c’era una bellissima esposizione di vetture del Cavallino.
Avevo appena portato all’asilo e a scuola le mie bambine quando squillò il cellulare.
Era l’altro avvocato.
Montezemolo.
Mi disse: senta Turrini, perché non fa un salto sotto la Ghirlandina? Sono qua con un amico che avrebbe piacere di salutarla.
Andai.
L’amico era l’altro Avvocato, con la maiuscola.
Trascorremmo insieme un paio d’ore.
Ebbene, Gianni Agnelli non solo conosceva nei dettagli la storia della Ferrari.
Era proprio innamorato della Rossa.
Mi raccontò di quando, prima ancora di diventare socio del Vecchio, si era fatto costruire dal Drake un modello con il volante in posizione centrale.
Confidò di non impazzire per i Gran Premi: lo annoiavano abbastanza, mentre si godeva ben di più le qualifiche del sabato.
Soprattutto, ci teneva.
Era, il 1997, il secondo anno di Schumi a Maranello. Del tedesco Agnelli si fidava ciecamente. Fece la classica battuta: Michael mi è molto caro, anzi carissimo, considerato quello che ci costa.
Quel giorno, al netto di ogni ufficialità, mi resi conto che la Ferrari aveva un azionista di riferimento che, pur coltivando altre passioni, si sentiva totalmente coinvolto nella rincorsa ad un titolo iridato che allora mancava già da diciotto anni.
Dunque non mi sorpresi quando, all’indomani di Suzuka 2000, Montezemolo descrisse la telefonata dell’Avvocato mentre Schumi si avvicinava alla bandiera a scacchi. Era commosso, disse Luca.
Credo non fosse una finzione.
Quando nel 2003 l’avvocato con la minuscola diede le iniziali GA alla macchina del quarto mondiale di Schumi, beh, non fu per piaggeria.
Fu per gratitudine.
La stessa che io, come tanti tra voi, vorrei provare per John Elkann fra cento anni.