di Roberto Giardina
BERLINO, 27 marzo 2014 - NOI li chiamiamo tacchi a spillo. I tedeschi con una parola italiana “Stiletto”. Lunghi, affilati, appuntiti sono armi letali, in senso figurato e reale. Qualche signora li ha usati infilzando l’uomo infedele in un occhio. Ma molti uomini si sentono colpiti al cuore alla sola vista di due gambe femminili ticchettare su un paio di tacchi smisurati, almeno da dodici centimetri fino ai diciotto. Il film di Truffaut “L’uomo che amava le donne” (1977) inizia con una lunga sequenza di gambe femminili riprese fino al ginocchio. Il loro sfilare come un metronomo, segna lo scorrere della vita, di tutti gli uomini, e del protagonista.
Ai tacchi alti è dedicata una rassegna allo Schuhmuseum di Offenbach, il museo della scarpa, 200 paia firmate dal designer Roger Vivier, scomparso a 92 anni nel 1998. “Mörderschuhe”, scarpe assassine, le definisce Claudia Schulz, che ha curato la rassegna. Perché Offenbach? Jacques Offenbach, che ha composto il più sfrenato can-can, ereditò il nome dal padre che lo aveva preso dalla cittadina alle porte di Francoforte. Qui si trova il museo del cuoio e, forse solo per questo, ospitò nel 1969 la prima fiera dell’erotismo. Altri tempi, ma Offenbach, squallido centro dormitorio, continua a evocare fantasmi sessuali.
I tacchi a spillo sono il dolce tormento dei feticisti ma, gli psicoanalisti vi tranquillizzano: niente di male se vi piacciono, preoccupatevi solo se vi piacciono senza rapporto con chi li sfoggia. I simboli sessuali sono inevitabili: il collega di Vivier, Christian Louboutin, produce stilettos solo con la suola scarlatta, perché vuol suggerire che le donne sono pronte a uccidere pur di comprarle. Almeno così spiegano i pubblicitari. Al museo sono esposte le scarpe da tennis con cui Joschka Fischer, il leader dei verdi, fece il debutto al Bundestag, nel 1983. Questo non c’entra, ma lo ricordiamo solo per la completezza dell’informazione. Le scarpe sono anche protagoniste della politica.
ROGER Vivier passa per l’inventore dello “stiletto” all’inizio degli Anni Cinquanta. I primi modelli li creò per Marlene Dietrich, una vamp. Ma anche la giovane regina Elizabeth portò un paio di sue scarpe alla cerimonia dell’incoronazione, nascoste sotto l’enorme gonna, per non sfigurare lei minuscola (un metro e 60), di fianco al marito, il principe Filippo (un metro e 90). I tacchi alti, si aggiunge, hanno messo le donne alla stessa altezza degli uomini. Anche oltre: con un tacco da 18, qualcuna supera Balotelli.
VIVIER sarebbe il Le Corbusier della scarpa femminile, secondo il comunicato del museo. L’architetto che ha trasformato le gambe delle donne in un’opera d’arte insieme con i suoi tacchi. Ovviamente, non è vero. Tacchi smisurati li sfoggiava già Caterina de’ Medici, che li usò come Elizabeth nel 1533 alle nozze con il duca di Orléans. Ma non importa. Fu Christian Dior a lanciare le creazioni di Vivier: le donne sugli stiletto sembrano non solo più alte, ma più aggressive, perché vengono costrette a proiettare il corpo in avanti, come la polena di un vascello. Ogni centimetro in più si sembra più magre di un chilo, dicono le esperte.
IL ’68 e il femminismo avevano messo fuori legge gli stiletto come prodotto della perversione maschile. Ma sono tornati con prepotenza a invadere il mercato, perché – chissà perché, piacciono alle donne quanto agli uomini. O forse di più. L’acciaio e la plastica hanno reso possibile la creazione di tacchi a spillo impossibili per gli scarpari classici: guglie sottili eppure resistenti. C’è una legge della moda che vieterebbe i tacchi a spillo insieme con i pantaloni. Lo sosteneva Vivier: le scarpe esaltano le gambe che devono essere visibili, le donne che sfoggiano gli stilettos con i calzoni sembrano dei clown sui trampoli. Andrebbe ricordato a qualche nostra giovane ministra, ma è meglio non fare nomi. Il tacco a spillo conquista il cinema, ricordate Marilyn Monroe in “Niagara”? E naturalmente le spy stories e i polizieschi. In “Dalla Russia con amore”, Lotte Lenya come la perfida Rose Klebb, tenta di uccidere James Bond con un colpo dei suoi tacchi avvelenati. Nel film non ci riesce, nel romanzo Ian Fleming fa morire invece il suo eroe di cui si era stancato. Fu costretto a farlo risorgere, convinto dai diritti d’autore. Il classico più famoso rimane “Death in High Heels” di Christianna Brand, tradotto da Polillo con il titolo “La morte ha i tacchi alti”.
Purtroppo in tedesco la morte, der Tod, è di genere maschile. Su un paio di stiletto farebbe pensare ad altro.
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