Ritrattoria, per definire l’artista. Star Rise, per denunciare la lunga gavetta fino a chef executive negli hotel stellati del mondo. Tradizioni alimentari per rafforzare il gusto identitario di siciliano migrante e catanese nato sulla via che porta dritta al vulcano. Vito Di Mauro ti invita a un viaggio complesso nella sua trattoria di via Donatello 28 a Milano, frequentata da professori universitari, televisivi e rockstar come Omar Pedrini, con cui ha fatto anche un programma tv. Se sei pigro, troverai un menu lungo pieno di rassicuranti amarcord, dalla pasta alla Norma alle pennette grigliate, variazioni per principianti, la carbonara di gamberi e i carpacci del pescatore. Ma se Vito capisce che tu gli vuoi rubare il profumo della sua anima, ti porterà alcuni piccoli capolavori di cucina all’antica.
La sarda aperta e panata fritta (quando la tagli l’umore del pesce fresco ti saluta), un misterioso cannolo spezzato che si rivela salato con cipolle in agrodolce e tonno fresco. Sorprendenti assaggi di polpo fritto. Bocconi di arancino da medaglia, per equilibrio di gusto e porzione elegante da passeggio. La moglie è un’attrice egiziana e l’influenza araba si accentua nella Sciaria in zuppetta, con i capelli d’angelo disidratati e pesce rotante (totanetti e cozze di Olbia hanno l’equilibrio giusto). La tartare di tonno in pantesca ha sapori forti e metaforico sangue. Scivolano i primi con una sosta consigliata: la mollica (muddica) catanese, che è la sua versione della “pasta ca a angiova», acciughe sciolte nell’olio con aglio (prezzemolo) a piacere, e sopra la mollica gratinata, il formaggio dei poveri. Una delizia. La bottarga è onesta. Il passo allo sfornato di alici in salsa di patate, il tonno fresco in ogni modo (panato alla thai e rosso dentro), gli involtini di spada sono la norma.
Indimenticabile invece un piatto di terra, la cotoletta alla palermitana, l’unica cotta alla brace (adesso si fa al forno), passata nell’olio e panata senza uovo (a differenza della catanese che prevede anche il formaggio: è possibile l’assaggio verticale e il confronto orizzontale). Contorni di casa, dalla caponata alle patate rifatte, colpo d’anca con finocchi e arance in insalata. Che potrebbe anche aprire il pasto o avere un effetto sorbetto, ma infinitamente meno banale. La sorella Carmela si occupa dei dolci con passione. Meritano un assaggio, una riflessione e un bis. Un parfait di mandorle alla palermitana da copione, come quello al pistacchio. Un semifreddo notevole, meringhe farcite per i più piccini. Buone bollicine delle tenute venete della nissena Averna.
Il tutto con una spesa che punta alla qualità ma cerca di mantenere abbordabili i prezzi. Qui si mangia dal bene al benissimo (dipende da voi…), spendendo fra i 30 e i 40 euro. La cantina segue questa filosofia: buone bottiglie, non necessariamente famose, con un ricarico leggero («non posso far spendere 35 euro per bere a chi ne spende 35 per mangiare!»). Non diffidate di un grillo onesto, di un pecorino marchigiano e di uno zibibbo secco fra i bianchi. Di una lacryma christi, di un piedirosso e di un classico nero d’avola fra i rossi. Chi vuole può anche ordinare una pizza. «Forno elettrico, materia prima e lievito madre garantiti». Margherita a sei euro. E il conto torna.
di Marco Mangiarotti
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