Errata l’idea che un esordiente arrivi vergine al suo primo album, subito pronto a dare fiato al talento innato. Dr.gam – Andrea Gamurrini all’anagrafe di Fano – chitarrista e performer di lungo corso, al suo arrivo nel mondo delle produzioni musicali, in auto ha talmente tanta roba che, più che un esordio, pare un trasloco. L’atto finale di un percorso lungo, fatto di studi musicali, di pianoforte, chitarra classica, viaggi e gavetta su migliaia di palchi. E sono tutti quei chilometri che, tornato a casa, in studio di registrazione, hanno fatto il suono di ‘Another family‘ (2016, Edizioni Lungomare-Jois/Universal). Intanto per l’indubitabile perizia acquisita: è lo stesso musicista ad arrangiare e mixare il tutto, ed è agli arrangiamenti e al missaggio che vanno dedicate, soprattutto, queste prime righe. Sono loro gli abiti di un disco. Un particolare risibile ai più, perlomeno finché tutto suona bene. Già, ché se non suonasse a modo, anche un Mozart contemporaneo risulterebbe il classico strimpellatore di periferia. Figuriamoci un esordiente.
Ecco, allora: ‘Another family’ suona da dio. E’ limpido e potente fin dalla prima nota, e accompagna gli ascoltatori su una nave solida a superare scogli grossi come pietre. Primo tra tutti l’inglese, che in Italia non può non sapere di cover band, a meno che – ed è questo il caso – non sia perfetto e magistralmente usato. Quindi (ed è uno scoglio ben più pericoloso) il ricorso al reggae, e a parole sacre distrutte dall’abuso come ‘babylon’, a pennate in levare, toni nasali da fumatore incallito e altri clamorosi cliché.
Dr.gam nelle prime interviste e nelle note piccole del disco dice addirittura di essere stato in Jamaica, esponendosi da solo a un immane rischio. Quella trappola risaputa del rastaman di provincia che confonde l’erba con il talento, così simile, magari in altre epoche, al chitarrista folk che fa un salto a New Orleans e ne ritorna jazzista. Ma dr.gam stupisce anche in questo: il reggae, addirittura il ‘patwa’ (lo slang jamaicano), nei suoi pezzi, è stemperato dal funky. E i ritmi in levare sono camuffati nel rock, nell’elettronica, in arrangiamenti originali e in sonorità di gran lunga più costruite. In questo l’another family descritta nel nome del disco e nell’omonimo brano può dirsi ben assortita. Una ciurma rumorosa, eppure curiosamente armonica, di generi e ispirazioni lontane tra loro. Lo dimostra ‘The drop and the flame’, ballata pop che arriva inattesa, dopo un esordio carico di decibel. O il ricorso repentino all’italiano, da ‘Anima mia’ in poi, che si esalta nell’ironico ‘Ritmo ideale’ o nel gioco di ‘Lme (Lettera di mezza estate)’. E’ una lista di ricordi d’amore adolescenziali, ovvero un altro salto carpiato mortale tra i chichè, che dr.gam a fine tracklist affronta ormai con la sicurezza di chi non ha altro da farsi perdonare. Superate sfide del genere, è ovvio, il resto non può che essere spettacolo. Come il groove di ‘italian rastaman’ e relativo videoclip. O come ‘The monster is dead‘. Il volume dello stereo si alza da solo: non resta che assecondarlo.
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