Sudan, nella terra dei faraoni neri

Fra meraviglie archeologiche ancora poco conosciute, in un Paese dove la popolazione è splendida e accogliente, con usanze tribali ancora vivissime. di Piero Degli Antoni

In fuoristrada nel deserto

In fuoristrada nel deserto

L’AVVENTURA esiste ancora, e ognuno di noi può ancora sentirsi, almeno un po’, Indiana Jones. Per riuscirci basta andare in Sudan (del Nord, vista la recente separazione). Primo stereotipo da sfatare: il Sudan non è un Paese pericoloso. Non lo è senz’altro al Nord, dove la popolazione è quasi totalmente musulmana, e dove si trovano i reperti archeologici più interessanti, a cominciare dalle piramidi di Meroe, a un paio d’ore di distanza da Karthoum. Cominciamo da qui: non si tratta delle gigantesche, colossali, misteriose piramidi egiziane. Si tratta, anche in questo caso, di monumenti funebri costruiti per re, regine e dignitari, ma sono costruzioni molto più piccole, che non nascondono camere segrete o cunicoli misteriosi. Sono piene e non cave, mentre le tombe reali sono state ricavate al di sotto. Detto così, sembra riduttivo, invece il fascino di Meroe è ineguagliabile per un semplice fatto: potrete godervi lo spettacolo delle 40 piramidi a filo della sabbia nella luce dorata del tramonto in completa solitudine, accompagnati soltanto dal fruscio del vento del deserto. Una sensazione impagabile, al confronto con il vocio ininterrotto, con la folla onnipresente, con la fastidiosa petulanza dei venditori di souvenir, che infestano a ogni ora i dintorni di Giza. Potrete anche visitarle a dorso di cammello, lasciandovi caracollare da uno di questi docili animali e godendo per qualche momento della pace assoluta del deserto.  Ma dicevamo di Indiana Jones. Il punto è che le scoperte archeologiche di Meroe sono recentissime, alcune ancora in corso. A noi è capitato, nella città reale vicino a Meroe, di scavare con le mani nella sabbia in un punto indicato dalla guida (del tour operator “I viaggi di Maurizio Levi”,  www.viaggilevi.com ) il più consolidato ed esperto per conoscere queste regioni) per portare alla luce una meravigliosa piastrella di 2500 anni fa, salvo poi ricoprirla per evitare danneggiamenti da parte dei vandali. Ma può capitare anche di entrare, a El Kurru, nella meravigliosa tomba di un faraone nero, tomba appena ripristinata, con gli antichi disegni e i magnifici colori di un tempo ancora perfettamente visibili. Oppure può capitare di salire al tramonto su Jebel Barkal, la piatta, misteriosa montagna che sorge solitaria in mezzo al deserto, che i nubiani e gli egiziani consideravano la sede del dio Amon, a godersi dall’alto lo spettacolo del tempio dei faraoni neri. Perché le popolazioni del Sudan, tra il 747 e il 661 avanti Cristo, conquistarono dal sud l’intero Egitto, e per un secolo sull’impero più longevo della storia dell’umanità governarono sovrani di pelle nera. bimbi

PELLE NERA. Forse è questa la grande, immensa attrattiva del Sudan: la gente. Gente sempre ospitale, accogliente, gentile, sorridente. Puoi capitare nel più sperduto villaggio e ti verranno incontro con un sorriso garbato: curiosi senza essere invadenti, aperti ma con grande rispetto dello straniero. Nessuno tenterà di vendervi niente, quello che cercano è soltanto un contatto con uno dei rari esemplari di razza bianca che capitano da queste parti (il Sudan ha soltanto 5mila turisti all’anno). Al massimo può avvenire che, appena vi hanno avvistato, qualcuno corra in casa per uscire brandendo uno smartphone di ultima generazione per fotografarvi. Capita così che voi fotografiate loro, e loro voi: gli apparecchi elettronici sono diffusi ovunque e hanno davvero compresso le dimensioni della Terra. Tutti, senza eccezioni, si prestano volentieri a farsi ritrarre: sia che vi troviate in città, in un villaggio, o addirittura nel deserto presso una delle tribù nomadi. Qualcuno addirittura vi può fermare per chiedervi di essere fotografato con lui. E farete loro un gran piacere se, dopo, mostrerete le immagini scattate. I nomadi: non c’è popolazione più gentile e cordiale. Li trovate nel deserto, asserragliati durante le ore più calde nelle esili capannine di rami che si costruiscono a ogni tappa. Vi ricevono con riservata gentilezza, vi invitano a prendere un tè o un gustoso caffè con lo zenzero. Se sapete qualche parola di arabo, potete avere un contatto più amichevole, altrimenti basta il linguaggio dei sorrisi o dei gesti. Certo, per strada può capitare anche qualche piccolo miracolo. Nel mezzo del nulla, su una strada polverosa fronteggiata da catapecchie e qualche misera bottega, ecco un ragazzo nubiano che parla perfettamente inglese. E’ andato a scuola? Macché. Su Facebook ha chiesto l’amicizia a qualche coetaneo americano e chiacchierando in chat via smartphone ha imparato la lingua. Infatti sono in molti a chiedere l’indirizzo mail: «Mi spedisci le foto?». Facebook è il più grande aeroporto del mondo. E POI ci sono i dervisci rotanti, non quelli eleganti e azzimati che si vedono in tv (di solito turchi) ma quelli variopinti, dai vestiti chiassosi e sgargianti, indisciplinati e disordinati, che ogni venerdì, un’ora prima del tramonto, si ritrovano nel cimitero vicino a Karthoum (a Omdurman, al di là del Nilo) per celebrare una cerimonia suggestiva che mescola esoterismo sufi a tradizioni tribali dell’Africa nera. In un crescendo di tamburi battenti, i dervisci (e poi tutta la folla che, disposta in cerchio, li segue) intona un ritmo ipnotico scandito dalle parole «La illah illah» che significa «non c’è altro Dio al di fuori di Allah». L’ossessiva ripetizione delle parole li fa entrare in uno stato di rapimento estatico: alcuni semplicemente camminano, altri scuotono le braccia, altri ancora ruotano su se stessi senza sosta. Nel pubblico qualcuno cade in deliquio e sviene. Ci si può avvicinare senza timore fino alla seconda fila (nella prima meglio di no, ma per semplice cortesia e rispetto), fotografare e riprendere tutto quel che si vuole. La cerimonia procede così, in un crescendo di energia spirituale, fino all’apoteosi che si raggiunge al tramonto. IL TRAMONTO, già. Qui in Sudan lo chiamano football time. Alle sette, più o meno, quando il calore abbacinante del giorno (in aprile si raggiungono già i 44 gradi) comincia a scemare, ragazzi di ogni altezza, taglia ed età, escono di casa e raggiungono il campo di calcio che è uno degli elementi essenziali di qualsiasi cittadina, metropoli o semplice villaggio. Abbiamo visto campi di calcio di sabbia, di terra, piccoli, grandi, addirittura in salita. Il calcio è - oltre a Internet - il grande linguaggio internazionale, perché è lo sport più semplice di tutti: basta una palla e un piazzale. I ragazzi indossano permanentemente le maglie delle grandi squadre europee, di cui magari non conoscono nemmeno il nome o la città. Facile incontrare i colori del Milan, dell’Inter, della Juventus, ma quella più diffusa è sicuramente quella di Messi. Un grande Paese con un grande cuore

Le tombe sacre di Meroe La misteriosa Meroe con le sue piramidiLA NECROPOLI reale di Meroe comprende 44 piramidi, divise tra cimitero nord e sud. Qui furono seppelliti i re e i dignitari del periodo meroitico (500 ac-350 dc). Le piramidi sono molto più piccole delle egizie. A differenza di quelle di Giza, sono piene e non cave. La vista dei monumenti funebri che emergono dalle dune del deserto, nella luce abbacinante del tramonto, è uno spettacolo che toglie il fiato e che, tra l’altro, si può godere in completa solitudine.   il nubian wrestling, lotta sì ma per gioco

SI PUÒ DIRE che il nubian wrestling è lo sport nazionale e totalmente autoctono del Sudan. È una specie di lotta greco-romana che si svolge in piccoli stadi, appositamente costruiti davanti a un pubblico di un migliaio di persone. Gli atleti – non professionisti, vestiti con magliette da football, bermuda e a piedi nudi – si affrontano a squadre, ma in scontri singoli. Vince chi atterra l’avversario in un gioco di equilibrio che lo rende molto simile al sumo giapponese. 

Le oasi non sono un miraggio  NEL DESERTO del Sudan esistono davvero le oasi e i pozzi. In realtà, sotto la superficie sabbiosa e pietrosa, si annida una vasta falda acquifera, residuo di ciò che era un tempo questa terra, prospera, rigogliosa, piena di vegetazioni e animali. I pozzi vengono ancora sfruttati dai nomadi, che prelevano l’acqua con sistemi vecchi di migliaia di anni: due asini trascinano una corda che solleva una sacca di pelle piena d’acqua, poi rovesciata in una  vasca per far abbeverare gli animali.

I dervisci fanno la ruota I DERVISCI rotanti sono una delle principali e sicuramente più curiose attrazioni di Omdurman (la città collegata a Karthoum). Si tratta di mistici legati alle pratiche sufi che ogni venerdì, al calar del sole, nel campo del cimitero cantano ripetutamente la nenia «la illaha illaha» («Non c’è altro Dio al di fuori di Allah») entrando così in uno stato di estasi semi-ipnotica. Qualcuno comincia a roteare inarrestabilmente su se stesso, il pubblico si unisce alla litania. Spettacolare. Stordente.

Cammelli da comprare IL MERCATO degli animali di Tengasi, una piccola cittadina vicina a Karima, è uno spettacolo da godersi con calma. Capre, galline, ma soprattutto cammelli: tutto si confonde in un bailamme allegro e scatenato di contrattazioni ininterrotte. Non bisogna temere di estrarre la macchina fotografica: i sudanesi si prestano volentieri a fare da modelli e anzi talvolta lo chiedono loro stessi. Aggiratevi con tranquillità tra le bancarelle: i locali guardano incuriositi gli stranieri ma sono sempre molto discreti.

Notti in tenda

NEI VIAGGI organizzati da Maurizio Levi (www.viaggilevi.com) è contemplata la possibilità di un’esperienza unica: dormire in tenda nel deserto. Ciò può avvenire in un campo appositamente installato, in tende a igloo a due posti con i servizi igienici essenziali in comune, oppure in un campo tendato fisso situato a Meroe, con tende di tipo militare ampie e spaziose, dotate di ogni comfort (compreso il bagno personale). (Foto Archivio Viaggi Levi).

05/05/2016