Telemedicina e cronicità, Covid ha fatto scuola

L'innovazione dei sistemi sanitari è progredita negli ultimi tre mesi a ritmi esponenziali

Robot per la telemedicina

Robot per la telemedicina

Roma, 14 Settembre 2020 - Da anni si parla di telemedicina, ora è il momento di fare un balzo in avanti. Già 8 anni fa la Commissione europea aveva preparato un piano strategico per abbattere le barriere all’utilizzo diffuso della telemedicina nei sistemi sanitari europei ma, almeno in Italia, poco è stato fatto. L'epidemia da Covid-19 ha fatto emergere il grave ritardo nella riforma dei servizi territoriali mostrando la necessità di spostare l’assistenza dei malati cronici dall’ospedale al territorio. L’impiego della telemedicina è fondamentale per la prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione e monitoraggio e bisogna ora considerare la telemedicina, il teleconsulto, la teleassistenza, come parte integrante del percorso di cura. Durante il webinar su cronicità e telemedicina.realizzato da Motore Sanità, grazie al contributo incondizionato di Daiichi-Sankyo, esperti di tutta Italia si sono confrontati per porre le basi per un concreto l’utilizzo della telemedicina in Italia.

“La telemedicina, cioè la prestazione di servizi di assistenza sanitaria mediante le tecnologie informatiche, getta le basi per una rete telematica interposta tra medico, infermiere, malato e caregiver. La sua diffusione nel contesto clinico - ha dichiarato Gianfranco Gensini, Presidente Onorario della Società Italiana di Salute Digitale e Telemedicina - ha registrato finora progressi limitati. Oggi le problematiche connesse con COVID-19 hanno posto la telemedicina al centro dell’attenzione, per la sua capacità di raggiungere pazienti remoti colpiti da COVID-19, offrendo loro supporto, consulenze esperte, ospedalizzazione domiciliare. Allo stesso tempo offre ai tanti pazienti fragili che devono eseguire controlli o adeguamenti terapeutici la possibilità di essere seguiti appropriatamente evitando spostamenti e il connesso rischio di contagio. COVID-19 ha colpito molto duramente il nostro mondo, ma certamente ha consentito che le possibilità connesse con la medicina digitale emergessero (finalmente!) in tutta la loro potenza operativa, consentendo anche in prospettiva una riformulazione di percorsi e processi di cura che tengano conto di tutto il supporto del digitale”.

“In Italia siamo passati da circa 450 esperienze in Telemedicina attivate nel SSN in quattro anni (dal 2014 alla fine del 2017), a un centinaio di nuovi servizi in tre mesi". Così si è espresso Francesco Gabbrielli, Direttore del Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali Istituto Superiore di Sanità. "In pratica abbiamo fatto in tre mesi quello che prima riuscivamo a ottenere in un anno. Tuttavia, l’improvvisazione utile in emergenza non può costituire il modello di riferimento per sviluppare un sistema di servizi in Telemedicina uniformi su tutto il territorio nazionale. La Telemedicina è Medicina e come tale va studiata, applicata e organizzata. In Telemedicina si compiono atti medici e attività assistenziali di cui i sanitari sono pienamente responsabili, anche se a distanza. Il fatto che un software o un dispositivo medico funzionino bene non garantisce affatto l’efficacia clinica e la sicurezza sanitaria della prestazione. Questo perché non è il singolo oggetto che conta in tale valutazione, ma il modo in cui software e dispositivi digitali sono combinati tra loro all’interno di un’adeguata procedura sanitaria. Con la Telemedicina si possono superare molti limiti dell’attuale sistema sanitario e si possono costruire migliori servizi ora e nuove terapie nel futuro. Occorre farlo senza ingenui entusiasmi, ma con seria ricerca medica”.

“La  sanità digitale è di grande ausilio rispetto alla prossimalità delle cure, ma non deve essere considerata sostitutiva. Bisogna fare chiarezza sulla classificazione di ciò che è dispositivo medico e ciò che non lo è, sia che parliamo di software o di device. Uno sforzo molto importante è quello di riprogettazione del flusso organizzativo, dovendo tener conto anche delle capacità dell'utente e non solo più dell'operatore. Bisogna quindi tenere conto anche della formazione e alfabetizzazione, sia sull’utilizzo delle piattaforme informatiche come anche sull’utilizzo degli strumenti, sia lato operatore sanitario sia lato utente o caregiver dell’utente”, ha concluso da parte sua Giovanni Gorgoni, Direttore Generale AReSS Puglia.