Giovani talenti, il futuro si chiama big data

Intervista a Lucio Pinto direttore della Fondazione Silvio Tronchetti Provera, a Venezia per The Future of Science. Dieci domande su come la scienza e la tecnologia cambieranno il volto della nostra vita

The Future of Science 2017, nel riquadro Lucio Pinto (Ph Nicolò Miana)

The Future of Science 2017, nel riquadro Lucio Pinto (Ph Nicolò Miana)

Venezia, 4 ottobre 2017 - Dall’economia all’industria, dalla biologia all’universo digitale, il mondo globalizzato impone uno sforzo senza precedenti per inserirsi in maniera attiva e creativa nella società. Su queste premesse si è costituita nel 2001 la Fondazione Silvio Tronchetti Provera, con l’obiettivo di valorizzare i giovani e diffondere progetti, senza scopo di lucro. In questo ambito si inserisce il sostegno al ciclo di conferenze The Future of Science (TFOS) realizzato con la Fondazione Umberto Veronesi e la Fondazione Giorgio Cini, di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi. Nella cornice dell'Isola di san Giorgio a Venezia abbiamo incontrato Lucio Pinto, ingegnere elettronico, direttore della Fondazione Silvio Tronchetti Provera per la ricerca scientifica, technology advisor per il Gruppo Pirelli e presidente del Centro internazionale della fotonica per l’energia (CIFE).

Quali finalità delle vostre iniziative rivolte ai giovani?

«Lo spirito è quello di incentivare i talenti, aiutare le nuove generazioni ad avere una visione a tutto tondo della ricerca e compiere indagini avanzatissime nel campo delle nuove tecnologie. La Fondazione è stata creata dal dottor Marco Tronchetti Provera, intitolata al padre Silvio, dato l’interesse che ha sempre posto nelle giovani generazioni. The Future of Science è una delle nostre attività più importanti, finalizzata alla diffusione della cultura scientifica. Di assoluto rilievo anche la collaborazione che abbiamo con prestigiose Università, aziende italiane e internazionali, tra cui i quattro atenei milanesi: Politecnico, Bocconi, Statale e Bicocca. Puntiamo a creare una nuova figura di ricercatore: un ricercatore che cresce nell’ambiente dell’università e si realizza in collaborazione con l’industria in aree avanzate».

Come la scienza sarà in grado di influenzare la vita e il nostro futuro?

«Partirei dall'iniziativa dell'anno scorso in cui si è discusso della rivoluzione digitale, in particolare l’internet delle cose (IOT), cioè la presenza diffusa di oggetti che possono dialogare tra di loro, e il loro concretizzarsi nell’intelligenza artificiale. Tutto ciò inciderà in modo determinante sulla nostra vita, tanto è vero che stiamo studiando quale impatto avrà la tecnologia sui lavori, e quanti lavori saranno resi obsoleti. Un messaggio importante che noi vogliamo dare ai giovani».

Quale il messaggio alle nuove leve di studenti?

«Vogliamo incoraggiare i giovani a studiare materie come data science, data analytics, di essere attori della rivoluzione digitale, un fenomeno di cui vediamo solo la punta dell’iceberg e che sarà pervasivo portando a un cambiamento totale del nostro modo di vivere. Facciamo un esempio nel manifatturiero: l’invasione dei robot è già avvenuta, diciamo da tempo, ma verrà accentuata, e il robot con l’intelligenza artificiale, internet delle cose, creeranno un nuovo modo di produrre. La produzione dei prossimi anni, quindi, sarà completamente diversa. Le fabbriche avranno operai differenti, figure professionali più moderne e specializzate: saranno operatori sofisticati alla base del processo produttivo».

Quale tipo di impiego e quali opportunità da cogliere al volo?

«Il lavoro deve essere visto in modo positivo: la digital revolution cambia la struttura dell'offerta, alcuni lavori spariranno, altri emergeranno. Abbiamo visto un documento californiano secondo il quale i 10 impieghi di maggior successo negli Usa sono nuovi, non vengono dal Mit per fare un esempio, ma sono nuovi concetti. Il cambiamento imposto dai contesti è un fenomeno nuovo che dobbiamo studiare molto, e su questo organizzeremo un congresso proprio su come creare una nuova forza lavoro e avremo come target gli studenti degli ultimi due anni di liceo per far capire quali discipline seguire per entrare di diritto nella forza lavoro del futuro».

The Future of Science abbraccia dunque un orizzonte più ampio?

«Inevitabilmente per parlare di quello che accadrà a livello scientifico dobbiamo guardarci intorno, e riflettere sulla struttura dei nuovi lavori. Come Fondazione Tronchetti Provera, assieme a Milano Bicocca, stiamo sponsorizzando la prima laurea magistrale in data analytics e data science. Studiare i big data significa avere una possibilità di partecipare alla rivoluzione digitale. I giovani che resteranno fuori da questo mondo avranno più difficoltà».

In tema di tecnologia parliamo di infomobilità. Pneumatici intelligenti che aumentano i livelli di sicurezza. Ci aspettiamo una guida senza conducente?

«In un futuro abbastanza lontano si arriverà all’autonomous driving. Chiaro, il pneumatico essendo a contatto con il terreno ha una importanza fondamentale in quanto riesce a rilevare l’attrito: vuol dire sapere se la strada è scivolosa, se si deve rallentare la velocità, se c’è aderenza per continuare la marcia. Questa sensibilità si può ottenere avendo componenti elettronici nel pneumatico, la grossa novità di cui Pirelli è stato innovatore. Quindi il riconoscimento dell’attrito si ottiene tramite un sensore inserito nel pneumatico che informa se le condizioni del suolo non sono ottimali».

Succede come nei farmaci innovativi che sappiamo efficaci ma devono superare rigorosissimi trial. Mi par di capire che questo pneumatico con sensori non si trova ancora nella bottega del gommista. Ma esiste già nei centri di ricerca?

«In effetti esiste ed è già stato annunciato, siamo molto avanti. Certo, noi come Fondazione non studiamo il componente industriale, noi studiamo gli impatti, come il sistema reagisce alle informazioni che il componente restituisce. In particolare come si passerà a una sicurezza attiva sulla strada, quali informazioni verranno rilasciate per rendere l’infomobilità sempre più sicura. Si andrà per steps successivi. La Fondazione Tronchetti Provera con il Politecnico di Milano ha studiato il sistema predittivo di sicurezza di marcia, detto ADAS, Advance Driver Assistant System».

Analogamente, in medicina, si studia come inserire un microchip che galleggia nel liquido lacrimale per misurare la glicemia senza forare la pelle.

«Già adesso ci sono sul diabete bellissime realizzazioni tipo quelle dei sensori, per cui non occorre più pungersi, si riesce con un piccolo sensore ad avere informazioni sul diabete (glicemia, le curve istantanee, la glicata) che in un futuro prossimo verranno inviate al medico curante. L’internet delle cose (IOT) si sta realizzando in tutti i settori».

Quali altri filoni di ricerca più affini al biologico, quali ponti tra elettronica, tecnologia e scienze della vita?

«Noi non copriamo il settore biomedico come base della nostra ricerca, chiaro che lavorando assieme alla Fondazione Veronesi, in The Future of Science, il concetto nella nanomedicina ci è molto familiare. Noi lavoriamo sulle nanotecnologie che sono la base della nanomedicina e della medicina di precisione». 

Un auspicio che guarda al futuro della nostra società?

«Mi piacerebbe evidenziare i progetti di dottorato, assegni di ricerca e borse, per il rientro di talenti italiani dall’estero, che la Fondazione Silvio Tronchetti Provera ha elargito. E’ un forte investimento in ricerca di cui siamo molto fieri. Abbiamo una serie di ex-alunni che hanno fatto carriera nell’industria, o che continuano le loro ricerche tramite grant che ha elargito la Fondazione. Anche attraverso la nuova laurea magistrale che inizia tra pochi giorni su big data, conferiremo il prossimo anno dei grant ai migliori che avranno completato il primo anno di studi: questo è lo spirito della Fondazione».

Alessandro Malpelo, QN Quotidiano Nazionale