Usa e Iran, due mondi in soli cento metri

Martedì la sfida decisiva per gli ottavi: l’incontro va molto oltre il calcio per la fortissima tensione che c’è tra i due paesi dal 1979

di Giulio Mola

Martedì 29 novembre 2022. Questa data era stata sottolineata da mesi, col pennarello rosso, sul calendario dei Mondiali. Alla luce degli ultimi eventi (sportivi ma non solo) in quel giorno i novanta minuti finiranno nel frullatore carico di emozioni, di tensioni, di motivazioni anche extracalcistiche. Già, perché è in programma una delle sfide più attese di Qatar 2022: Stati Uniti contro Iran, ovvero “la madre di tutte le partite“ (e qui c’entra poco il pallone), o ancor meglio l’incrocio tra due squadre che rappresentano due nazioni e due culture all’opposto e da sempre in forte contrasto politico. In palio c’è la qualificazione agli ottavi ma non solo.

Atteso perché quasi inedito, come detto. Delicato perché alla vigilia del torneo si è alzata una sorta di sollevazione globale, con appelli e forti proteste per impedire agli asiatici di partecipare all’evento visto quel che sta accadendo a Teheran e dintorni, il tutto aggravato dalla morte di Mahsa Amini, ragazza portata via dalla polizia perché rea di non indossare correttamente il velo. Situazione raccapricciante che ha finito per coinvolgere emotivamente gli stessi calciatori della nazionale iraniana, che prima si sono rifiutati di cantare l’inno (al debutto) e poi si sono sentiti obbligati a “sussurrarlo” per evitare ritorsioni del regime islamico.

Ma ci sono altri motivi che “incendiano” l’attesa, trascinandosi dietro pezzi di storia: da oltre due anni Washington e Teheran hanno relazioni minime, quasi nulle. Con rapporti sempre più tesi. Bisogna riavvolgere il nastro della storia e tornare al 3 gennaio 2020, quando durante un raid statunitense a Baghdad venne ucciso il generale iraniano Qassem Soleimani, popolarissima icona delle guardie della rivoluzione e artefice della politica estera del suo Paese. L’Iran definì l’accaduto un gravissimo affronto, come se si trattasse di un’esplicita dichiarazione di guerra.

E poi ci sono le tensioni generate dalla guerra in Ucraina, dove Teheran è fra i principali e dichiarati alleati militari della Russia, alla quale la Repubblica Islamica gira centinaia di droni. Del resto è dal lontanissimo 1979 che le relazione tra i due Paesi sono state sempre molto fredde. Fu quello l’anno della rivoluzione islamica di Khomeini il quale spodestò Rheza Palevi, instaurando una teocrazia sciita. Fu l’inizio della “Rivoluzione“ contro l’imperialismo e gli Stati Uniti che ebbe come prima conseguenza il sequestro di funzionari all’ambasciata statunitense a Teheran. E la rottura delle relazioni diplomatiche.

Da allora, e fino ai tempi nostri, gli Stati Uniti rappresentano il “grande Satana“ per gli ayatollah iraniani. Dall’altra parte la teocrazia sciita viene vista come oscurantista dagli statunitensi. Ecco perché quasi vent’anni dopo, alla prima e unica sfida del 1998 a Lione per i Mondiali in Francia, si arrivò in un clima ancora avvelenato.

Solo nell’immediata vigilia le due federazioni decisero che era meglio e più opportuno parlare solo di calcio e non soffiare sul vento della politica. Almeno per novanta minuti. Perché c’era il mondo intero che li guardava. Ad agitare le settimane precedenti il match furono altri episodi: la Fifa venne informata che in circolazione c’erano circa 7000 biglietti, poi acquistati da personaggi vicini ai Mujahedin Khalq, gruppo in contrasto con la Repubblica Islamica e finanziato dall’Iraq di Saddam. Il loro obiettivo era quello di trasformare il match in un momento in cui rivendicare la propria azione contro le autorità di Teheran. Magari in maniera eclatante, con invasioni di campo o striscioni provocatori. Notati gli striscioni inneggianti i Mujahedin Khalq, fu chiesto alle televisioni di non riprendere quei settori dove emergevano criticità e la protesta si fermò a Lione senza andare in mondovisione. Inoltre fu schierata la polizia in tenuta antisommossa lungo il perimetro del campo: in questa maniera venne scongiurata una possibile invasione.

A rasserenare ulteriormente gli animi la decisione del presidente della federcalcio iraniana, Mohsen Safaei Farahani, che fece entrare i suoi giocatori in campo con una rosa bianca in mano. Un ulteriore gesto di distensione immortalato in una storica fotografia con i 22 calciatori protagonisti.

L’arbitro svizzero Urs Meier diede il calcio d’inizio: il centrocampista iraniano Hamid Estili ruppe il ghiaccio di testa prima del giro di boa, poi nella ripresa gli asiatici gestirono il match raddoppiando a sei minuti dal termine con il difensore Mehdi Mahdavikia. A poco servì il gol della bandiera realizzato da McBride per gli States. Al triplice fischio finale grande festa per l’Iran: la prima vittoria ad un mondiale proprio contro gli Stati Uniti,

Martedì la nazionale di Quieroz sogna di ripetersi...