Tutto il mondo ai piedi dei Fantastici Quattro

Patta, Jacobs, Desalu e Tortu battono i rivali in 37“50, nuovo record italiano: il quinto oro dell’atletica ai Giochi è il più incredibile

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dall’inviato Leo Turrini

Mi basta il tempo di morire. Seppellite il mio cuore sotto una pagoda. E poi scrivete sulla lapide: qui giace un italiano schiantato da una emozione troppo grande.

Mi basta il tempo di morire. Quando il geniale Pippo Tortu ha allungato i muscoli del collo per bruciare sul filo il rivale britannico (è sempre Wembley, per gli amici di oltre Manica), beh, una insana follia ha devastato ciò che restava del sistema nervoso del testimone oculare.

Ah, benedetta Olimpiade di Tokyo! L’Italia dello sprint ha vinto l’oro nella staffetta veloce! 37”50! Ma come è possibile? Dove sono, dove siamo, in un fumetto Marvel?

Datemi i sali. I Fantastici Quattro ce li abbiamo noi. Ne digito i nomi sulla tastiera arrendendomi alla evidenza. È tutto vero, è accaduto sul serio. Questo è il Big Bang dello sport azzurro.

I nomi, dicevo. Lorenzo Patta, sardo, primo frazionista. Marcellino pane e vino, il Bolt del Bel Paese, lui, Jacobs, due ori alla Olimpiade. Eseosa Fostine Desalu, genitori nigeriani, ma nato a Casalmaggiore, infatti lo chiamano tutti Fausto. Infine il Conte di Montecristo della velocità, l’Edmond Dantes della velocità, insomma il redivivo, meraviglioso giustiziere della Gran Bretagna, il tenero fan di Lucio Battisti noto all’anagrafe come Filippo Tortu.

Ora, sarò sincero. Entrando allo stadio, avevo osservato il rituale con Malagò, il presidente del CONI: stessa sosta sulla stessa panchina, come avevamo fatto prima dei salti di Tamberi e della volata di Marcellino pane e vino. Poi identica scena con Mei, il presidente federale da poco in carica: io sono un tipo fortunato, mi aveva detto. Uomo avvisato...

Eppure, non ci credevo. E dai su, già questa Olimpiade sembra, per noi italiani, un remake quotidiano del film di Capra, la vita è una cosa meravigliosa. Non possiamo pretendere sempre la luna.

Prego? Chi l’ha detto che non possiamo? L’hai guardata bene la faccia di Lorenzo Patta, il giovanotto di Oristano? È il primo della squadra, ha una espressione da samurai. Lo sa, evidentemente lo sa: deve consegnare il testimone a Jacobs innescandone la furia.

Ah, Marcellino pane e vino! Nel suo pezzo di pista pareva che la superficie magica lo facesse volare. Jacobs quasi rimbalzava, scaricando a terra la potenza del re olimpico dei cento metri.

Ma come diceva quella pubblicità? La potenza è nulla senza controllo. Il cambio è stato perfetto e Desalu ha intuito che gli toccava il compito più ingrato: resistere per lanciare Pippo, il Conte di Montecristo.

E qui, beh, qui dobbiamo fare tutti un gran sospiro. Non starò a farla tanto lunga: Tortu nella gara individuale era andato maluccio, Tortu aveva le sue ansie, Tortu e la crisi interiore e bla bla bla.

Ma cosa disse l’abate Faria ad Edmond Dantes, nel romanzo di Dumas? Fuggi ragazzo, scappa dalla prigione dei dubbi, fuggi che ti faccio ricco di gloria, questa è una occasione che non tornerà.

Il Conte di Montecristo, cioè Tortu, ha afferrato testimone e messaggio. I cinesi si sono sciolti. I canadesi, idem. Mitchell Blake, il britannico, ha sentito il fiato di Pippo sul collo.

Il collo, già. Tortu ha proteso il suo e si è fatto cigno. Il brutto anatroccolo dei 100 trasformato nel Roberto Bolle della staffetta. Un capolavoro, il suo. Realizzato insieme ad una squadra che non è una squadra, ma la versione nostrana dei Fantastici Quattro.

37”50 il tempo. Ovviamente record italiano, quinta prestazione di sempre e quinto oro azzurro nella atletica qui a Tokyo. Britannici battuti di un centesimo.

Io sono ufficialmente morto. Seppellite il mio cuore in una pagoda e non dimenticate di ringraziare per me Patta, Jacobs, Desalu e Tortu.