Trentalange si dimette, figuraccia mondiale

Il presidente dell’Aia vinto dal pressing Figc per lasciare dopo il caso D’Onofrio: proprio nel giorno della finalissima in Qatar

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di Paolo Franci

Non poteva che finire così, con le dimissioni di Alfredo Trentalange, aldilà delle sfumature tecniche e delle regole del gioco. Troppo incredibilmente grave la vicenda D’Onofrio - l’ormai ex procuratore arbitrale arrestato per traffico internazionale di stupefacenti - per chiuderla senza l’addio dei numero uno dell’Aia. E così, mentre il mondo si preparava a vivere il capitolo più bello e atteso del pallone, la finale del Mondiale, a Roma si chiudeva il capitolo più brutto di una storiaccia che non poteva non lasciare il segno.

Sullo sfondo, la paziente ma energica azione del numero uno del pallone, Gabriele Gravina che sin da subito ha letto le dimissioni di Trentalange in controluce con la vicenda. Poi, lo scorso 9 dicembre, l’atto di chiusura indagini della procura federale nel quale gli 007 del pallone individuavano responsabilità precise di Trentalange che non potevano passare inosservate. E così l’accelerazione di Gravina che ha girato la vite stringendo per le dimissioni, considerando come la credibilità e l’autorevolezza del capo deli arbitri fosse ormai minata e a protezione degli arbitri stessi, evidentemente sbandati da una vicenda più grande di loro. E ieri, è arrivata una decisione che ormai era impossibile da evitare, con le dimissioni di Trentalange.

Lo stesso numero uno dei fischietti aveva tentato di resistere, assistito dall’avvocato Paolo Gallinelli, legale navigatissimo nelle vicende di giustizia sportiva – è stato l’avvocato dell’ex arbitro Massimo De Santis nello scandalo Calciopoli – aveva più volte ribadito di non avere alcuna intenzione di dimettersi. Anche nel giorno dell’avviso di chiusura indagini, Trentalange aveva ribadito: "Non mi dimetto". Ma cosa ha portato all’addio di Trentalange? La vicenda prende corpo con il possibile coinvolgimento nella surreale vicenda D’Onofrio, il il procuratore capo dell’Associazione Italiana Arbitri, arrestato per traffico internazionale di droga. Poco dopo, sono scattate le indagini della procura Figc, con il capo degli 007 federali Giuseppe Chinè che in occasione della chiusura indagini sottolineava come l’arrampicata di D’Onofrio fino all’attico dell’Aia si fosse snodata attraverso "comportamenti rilevanti sul piano disciplinare" dello stesso Trentalange. Il presidente dell’Aia, unico e diretto responsabile delle nomine, secondo la procura federale avrebbe omesso di verificare se D’Onofrio avesse o no le carte in regola per sedersi sulla potrona di procuratore capo dei fischietti.

Un "comportamento omissivo" di Trentalange secondo Chinè al quale avrebbe fatto seguito "quello commissivo di proposta, che ha portato alla nomina di D’Onofrio" anche se l’ormai ex numero uno degli arbitri ha sempre ribadito la sua estraneità rispetto ad ogni accusa. In una nota, Trentalange aveva ribadito: "Ho preso atto con stupore e amarezza del contenuto della comunicazione di chiusura dell’istruttoria della Procura Federale sul caso D’Onofrio anche se è bene precisare che non si tratta di un deferimento a mio carico. In tal senso ho chiesto di essere sentito con estrema sollecitudine dal procuratore Chonè. Tengo a chiarire che non ho nessuna intenzione di dimettermi". Poi le pressione della Figc, le dimissioni che hanno l’effetto di evitare il commissariamento dell’Aia. Ma il tema dominerà il consiglio federale odierno.

Ha dedicato una vita al fischietto Alfredo Trentalange, 65enne torinese che, dopo la carriera da arbitro in campo a livello internazionale, dal 1989 al 2003, è rimasto nel giro dei dirigenti fino all’elezione a presidente al posto di Nicchi nel 2021. Ieri, le dimissioni e il triste tramonto per una vicenda assurda, incredibile, che non poteva non richiamarlo alle sue responsabilità.