Giovedì 25 Aprile 2024

Tre giorni in campo, il match che fece epoca

Dieci anni fa a Wimbledon si giocò la partita più lunga di sempre: dopo 11 ore e 5 minuti l’americano Isner vinse sul francese Mahut

Sul campo 18 di Wimbledon l'americano John Isner e il francese Nicolas Mahut

Sul campo 18 di Wimbledon l'americano John Isner e il francese Nicolas Mahut

Lacrime di frustrazione, dispiacere, stanchezza. Trattenute davanti all’intervistatore, che attacca con la domanda più scontata: come si sente? Come vuoi che si senta un uomo, un atleta, un tennista che ha appena finito di giocare – perdendola – la più incredibile partita della storia? Stretto nell’asciugamano viola e verde vorrebbe scomparire. E perfino il suo avversario, il trionfatore esausto, lo indica con il braccio alla folla in piedi. Come a dire: abbiamo vinto in due.

All England lawn tennis and croquet club: martedì 22 giugno 2010, ore 18.13, court numero 18. È un match qualunque, relegato su un campo secondario di Wimbledon. Di fronte un americano alto due metri e sei centimetri, John Isner, e il talentuoso francese Nicolas Mahut. Isner è favorito per classifica e attitudine all’erba; Mahut, ex ragazzo prodigio, viene dalle qualificazioni. Fa caldo, c’è poca gente sulle due tribunette di legno. La sfida di primo turno interessa solo i due protagonisti. Totalmente inconsapevoli di quello che sta per accadere. La partita ha il canovaccio classico: servizio e volée, scambi corti. Isner vince il primo set, Mahut i due successivi, il quarto va all’americano. Match equilibrato. Dopo due ore e 54 minuti il giudice dà lo stop per sopraggiunta oscurità. Sono le 21.07 ora di Londra, il match slitta al giorno dopo.

Mercoledì 23 giugno, ore 14.07. Comincia il quinto set. I game si susseguono senza scosse, finché sul 10-9 due doppi falli del francese issano Isner al match-point. Ci siamo. Ma Nicolas non cede: servizio vincente, altri due punti, pericolo scampato. Si continua, l’uno davanti e l’altro a rincorrere. Passa il tempo, è ancora parità. Le notizie che arrivano da quell’angolo sperduto del club richiamano i fari dei media. Accorrono giornalisti e fotografi. Sul 25-24 viene battuto il primo record: è il set con più giochi di sempre. E alle 17.44 la partita diventa la più lunga della storia. La gente impazzisce: ola e standing ovation, fino a quando l’epilogo è ancora a un passo. Siamo sul 33-32, John può sfruttare altri due match-point. Nicolas lo ricaccia indietro. Sul 47-47 va in tilt il tabellone elettronico, non tarato per quel punteggio mostruoso. Isner e Mahut barcollano stremati. Sul 58 pari l’americano chiede una pausa per andare al bagno. Due giochi dopo, seconda sospensione per oscurità. Il francese ha appena annullato l’ennesima palla partita, la folla scandisce: "We want more", ne vogliamo ancora. Si torna negli spogliatoi. Che sta succedendo? Possibile che quel campo sia diventato l’ombelico del mondo? Isner e Mahut sono due eroi omerici, si battono per conquistare il favore degli Dei del tennis, vivono nell’arena una tragedia greca che rispetta i canoni dell’unità di luogo, tempo e azione. La loro epica sfida è come una novella di Osvaldo Soriano, l’argentino che raccontò il rigore più lungo della storia tirato nel 1958 in un punto sconosciuto della Patagonia: ci vollero sette giorni, prima della parata fatidica del Gato Diaz.

Giovedì 24 giugno, ore 15.43. Riprende la maratona di ballo a oltranza. E del resto, non si uccidono così anche i cavalli? Chi rimane in piedi vince. Né l’uno né l’altro accettano il trasloco sul campo centrale: "Qui sul 18 abbiamo cominciato e qui chiuderemo il conto". Il predestinato si chiama Isner, che al quinto match-point definisce la pratica: 70-68 e tutti a casa. È incredulo. Come il rivale. Come il pubblico. Possibile che sia finita? Sono le 16.48, la partita spalmata in tre giorni è durata 11 ore e 5 minuti. Risultato da fantascienza, in un’atmosfera di esaltazione collettiva. "Niente come questo succederà di nuovo", mormora Isner. "Abbiamo giocato la partita più grande di sempre nel posto migliore dove fare tennis", conferma Mahut. Adriano Panatta dedica all’evento un capitolo del suo libro. Il titolo? Il tennis l’ha inventato il diavolo. La partita del secolo, così come fu per Italia-Germania 4 a 3 di Mexico ‘70, viene celebrata da una targa affissa sul campo 18, a donarle l’immortalità. Ma la magia passa una volta sola nella vita. L’anno dopo, il destino mette ancora di fronte i due amici-nemici al primo turno. Risultato 3-0 per Isner, in un amen.