Martedì 23 Aprile 2024

Tanti ko ma stadi pieni: miracolo Italrugby

Olimpico sempre sold out, a prescindere dai risultati: così il movimento cresce e ieri ha sfiorato l’impresa con l’Irlanda numero 1 al mondo

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di Paolo Grilli

Il famoso aforisma del giornalista Henry Blaha – “Il rugby è uno sport bestiale giocato da gentiluomini, il calcio è uno sport per gentiluomini giocato da bestie“ – meriterebbe un aggiornamento da anni ’20 del terzo millennio, tutto in salsa azzurra.

Anche sugli spalti spicca infatti la nobiltà d’animo, quasi per infusione dal campo, perché nonostante le sconfitte in serie dell’Italia, il tifo per la nostra nazionale non conosce alcuna flessione. Anzi, l’Olimpico sempre gremito a sostegno dei nostri della palla ovale è una costante, una garanzia che sfida apertamente la logica della passione proporzionale ai risultati.

Anche ieri, per l’onorevolissima sconfitta per 20-34 degli azzurri nel Sei Nazioni contro l’Irlanda prima nel ranking mondiale, in 40 mila non hanno mancato di spingere Capuozzo e compagni verso l’ultima delle imprese mancate. Non erano di meno all’esordio del torneo a Roma, contro la Francia campione in carica, che il 6 febbraio ci ha battuti per 29 a 24.

Il pienone per l’Italrugby – c’era anche a Firenze quando battemmo l’Australia a novembre – non è solo legato alla evidente rinascita tecnica sotto le direttive del ct neozelandese Kieran Crowley: allenatore degli antipodi se c’è n’è uno (soprattutto nei confronti dei colleghi pallonari) vista l’essenzialità delle sue dichiarazioni chiaramente inversa rispetto alla sostanza del suo lavoro. La vocazione al tutto esaurito affonda le sue radici molto in là negli anni, sicuramente a quando ci affacciammo nel Sei Nazioni e ci parve di approdare nel paradiso del gioco, a contendere il trofeo a nazionali-mito. Ma non sfugge che dopo le prime stagioni illuminate anche da vittorie di prestigio, gli azzurri abbiano conosciuto un’era di secche imbarazzanti a livello internazionale. Specialmente sul palcoscenico più prestigioso, quello appunto del torneo che vede in lizza le squadre più forti del Vecchio Continente e che si era ampliato proprio per farci spazio nel 2000.

Abbiamo dovuto aspettare il marzo dell’anno scorso per interrompere la striscia di 36 ko consecutivi nel Sei Nazioni. Una serie nera che però non era coincisa in alcun modo con una disaffezione per la nazionale. Quando vincemmo in trasferta col Galles, ci parve certo una liberazione, ma mai era stato in dubbio l’attaccamento ai garbati energumeni del nostro sport.

E vale allora la pena di chiedersi cosa generi questo affetto incondizionato. La spiegazione più semplice è che, guardando una partita di rugby, avvenga una sorta di catarsi. Vedere giocare questo sport durissimo senza che la sfida si trascini polemiche, sospetti, scorrettezze – quelle commesse sono sanzionate dagli arbitri senza proteste – restituisce un sollievo impagabile. Riconcilia infatti con l’idea di un agonismo sano, e ogni riferimento in negativo al calcio non è casuale.

Il rugby deve custodire questa sua purezza come il più prezioso dei tesori. Perché l’alto interesse è la condizione necessaria per la consistenza di un movimento, per il suo riscatto nei tempi più bui. Ieri, contro la corazzata irlandese, siamo riusciti a dare spettacolo andando in meta nel primo tempo con Varney e Garbisi. Al 56’ eravamo sotto 20-24 contro i migliori al mondo.

La classifica ci vede penultimi, con un solo punto. Dietro c’è solo il Galles, che ha perso 20-10 in casa contro l’Inghilterra. Proprio i gallesi dobbiamo affrontare sabato 11, sempre all’Olimpico. Praticamente certo un altro bagno di folla per i nostri. Magari si vincerà, tutti lo sperano, ma poi la festa per uno dei pochi sport veri non mancherà in ogni caso.