Tambay, un cuore Rosso nel nome di Gilles

Addio al pilota che nel 1982 sostituì Villeneuve dopo la sua tragica morte. L’anno successivo un trionfo indimenticabile a Imola

di Leo Turrini

Ci sono attimi che raccontano una carriera, se non una vita. Nel caso nostro, la vita di Patrick Tambay, spentosi ieri a 73 anni, dopo una lunga e dolorosa battaglia contro il Parkinson.

Era il 1983. Per la prima volta Imola ospitava il Gran Premio di Formula Uno senza Gilles. Il mitico Villeneuve era volato via in un triste pomeriggio a Zolder, dodici mesi prima. Ma aveva cominciato a morire proprio sul tracciato del Santerno, quando si era sentito tradito dal compagno di squadra in Rosso, il francese Pironi.

Si disse che era stato proprio quest’ultimo, Didier, a suggerire Tambay come sostituto del compianto canadese. Patrick era un pilota veloce, elegante nei modi ma tosto di carattere. Non poteva eguagliare Villeneuve come carisma, ma gli orfani di Gilles lo scelsero subito come simbolo, come erede, come l’alfiere chiamato a risollevare la bandiera caduta.

E fu proprio a Imola che Patrick fuse la sua identità con quanto restava del Mito. La gente lo aspettava, il francese guidava la stessa macchina, sulla griglia di partenza era stata tracciata una scritta. Salut, Gilles.

Io non so se esista un Dio dell’automobilismo. So in compenso che quella domenica guardò giù e sentì battere all’impazzata il cuore di un popolo. Il povero Patrese, che era al comando con una Brabham, finì fuori pista e la folla, ingenerosa, esultò. Ma lo fece senza cattiveria, lo fece per Gilles e quindi lo fece per Tambay, trionfatore a nome di una istanza collettiva.

Me ne rendo conto: racchiudere una carriera in una domenica suona vagamente ingeneroso. Patrick è stato a lungo in F1, ha guidato anche per altre scuderie prestigiose come la Renault e tutti ne parlavano bene, pur sottolineandone una fragilità fisica che era un limite vero.

Ma che ci volete fare? Tambay ha fatto la storia quella domenica a Imola e ne era consapevole. Tanto consapevole che pure da ex non spezzò mai il filo con Maranello (nel 1984 il Drake lo sostituì con Michele Alboreto).

Quando morì Paolino Scaramelli, che era stato il suo capo meccanico come lo era stato di Gilles, il francese mi telefonò. Era già malato, la voce sullo smartphone andava e veniva. Era commosso e non lo nascondeva. Mi disse una frase bellissima nella sua semplicità: Sai, chi è stato ferrarista rimane ferrarista per sempre".

E non ci fu bisogno di altre parole.