Venerdì 19 Aprile 2024

Schwazer choc: "Pensai al suicidio"

Dal 13 aprile su Netflix quattro puntate sul caso del marciatore fermato per doping. E i dubbi aumentano

Schwazer choc: "Pensai al suicidio"

Schwazer choc: "Pensai al suicidio"

di Doriano Rabotti

Peccato solo che non sia una fiction, perché anche su Netflix la storia di Alex Schwazer finisce come nella realtà, ovvero male per l’atleta altoatesino.

’Il caso Alex Schwazer’, docuserie in quattro puntate da un’ora l’una che sarà trasmessa dal 13 aprile, è un tentativo di arrivare fino in fondo nella ricerca di una verità che ha talmente tante facce, molte delle quali rimaste nell’ombra, da restare ancora oggi inspiegabile per troppi versi. Diretta da Massimo Cappello e prodotta da Indigo Stories, la serie racconta l’ascesa all’oro olimpico di Pechino, la caduta nell’abisso del doping, la redenzione sotto la guida di Sandro Donati, storico paladino dello sport pulito. E infine l’incredibile vicenda giudiziaria e sportiva che ha portato Schwazer, dopo la prima squalifica per doping vero e confessato ("arrivai a pensare di suicidarmi, non lo feci solo per mia madre"), ad ulteriori otto anni di stop che lo hanno escluso dai Giochi di Rio e di Tokyo, mentre la giustizia ordinaria arrivava a conclusioni molto diverse da quella sportiva. Riconoscendo che Schwazer e Donati avevano ragione di proclamarsi innocenti.

Trovato positivo a un controllo condotto con molte anomalie l’1 gennaio del 2016, poi riabilitato nel processo penale dal tribunale di Bolzano, Schwazer però non si è visto revocare la squalifica dalla giustizia sportiva, per una positività sulla quale rimangono troppi dubbi. Il racconto di anni di incredibile fatica fisica e morale si intreccia alle storie dei protagonisti che hanno accettato di raccontarsi senza nascondersi, dall’ex compagna Carolina Kostner al presidente del Coni Malagò, dalla mamma di Alex alla moglie Kathryn, dall’avvocato del marciatore Gerhard Brandstaetter al colonnello dei Ris che ha indagato sulle provette, Giampietro Lago, trovando anomalie nei campioni forniti dai laboratori tedeschi ai giudici italiani solo dopo oltre un anno dalle richieste, con una concentrazione di dna talmente esagerata da non avere altri riscontri nell’esperienza scientifica del perito. Dato tecnico che accresce i sospetti sulla reale genuinità di quei campioni.

Mancano per scelta loro molti protagonisti: il numero uno della Wada, l’agenzia mondiale antidoping, Oliver Niggli, è l’unico ad aver risposto alle domande. Gli altri personaggi coinvolti, dal presidente della Iaaf Sebastian Coe al capo del laboratorio antidoping della federatletica mondiale, Capdevielle, non hanno risposto. Dentro una fiction comunque starebbero benissimo altri personaggi: gli hacker russi che hanno permesso di trovare mail a supporto delle tesi sul complotto ai danni del marciatore azzurro, e poi Donati e Schwazer ovviamente. Nessuna squalifica potrà togliere una cosa, ai due: dal sodalizio tra quelli che Malagò definisce "il diavolo e l’acqua santa" non sono sbocciate medaglie, ma è nata una bella storia di ricostruzione personale di un uomo con l’aiuto del suo mentore. Una storia che meritava un lieto fine.