Martedì 16 Aprile 2024

Sarri, addio annunciato dall’inizio

Rapporto mai nato, gioco inesistente: pesava troppo il passato e le sue dichiarazioni. Ora rischia Paratici . .

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Quando perse la prima partita allo Stia, Seconda categoria Toscana 1990-1991, Maurizio Sarri scrisse sulla lavagna dello spogliatoio: "Non è grande chi non perde mai, ma chi dopo una sconfitta sa rialzarsi e vincere". Maurizio Sarri non potrà rialzarsi dalla clamorosa eliminazione di Champions con il Lione perchè ieri mattina è stato esonerato dalla Juventus. Dopo la sconfitta in Supercoppa, dopo il ko in finale di Coppa Italia Sarri non si è mai rialzato completamente. Ha vinto uno scudetto grazie alla frenata collettiva delle rivali. Ora che ha perso anche la Champions, la società ha ufficializzato quanto aveva già deciso. Andrea Agnelli ha avuto solo la cortesia di non comunicarlo nel dopo-partita, dovendolo ancora formalizzare al diretto interessato, ma fatto questo passaggio il presidente dei nove scudetti ha dato il benservito al tecnico che da tutto l’ambiente Juve non è mai stato accettato. Troppo forte il ricordo delle sue invettive contro la Juventus ("cosa devo fare per avere un rigore, mettermi una maglia a righe?" la più esplicita) di un tecnico nato nel mito di Maradona, cresciuto come tifoso del Napoli e arrivato alla Juventus per quelle strade che tanto poco piacciono a un nostalgico del calcio d’altri tempi come lui. Il problema di Sarri è che, oltre all’ambiente e dalla tifoseria, che del resto male aveva digerito anche Allegri, nemmeno la squadra lo ha mai seguito. Lo ha detto chiaro Pjanic venerdì sera: un conto era il Napoli – le sue parole in sintesi – un conto era la Juve dove è stato difficile mettere in pratica le sue idee. Difficile? Impossibile. Dopo la finale di Coppa Italia, i senatori si sono più o meno rifiutati di seguirne il credo: niente più pressing alto, costruzione dal basso molto limitata, ai famosi 36 schemi su palla inattiva ne preferivano un altro, ovvero palla a Ronaldo e sperare che sia in giornata. Ma col Lione non è bastato. Ne usciva una squadra che non era vericale alla Klopp o alla Conte e nemmeno più orizzontale alla Pep o alla Sarri. Lo scostamento tra squadra e tecnico, percebile nei fatti più che nelle parole, ha portato lo sfaldamento progressivo di un capitale da 500 e più milioni che un imprenditore come Agnelli non poteva più affidare a un allenatore che aveva già steccato alla Valdema, al Sorrento, all’Arezzo, all’Alessandria, al Grosseto, al Perugia, all’Avellino, al Verona e per il quale i tanti indiscubili meriti sono direttamente proporzionali agli altrettanto evidenti limiti di dialogo, empatia e serenità che, per un allenatore di Ronaldo, sono più importanti degli schemi. Ma la svolta in seno alla Juventus non finisce qui. Andrea Agnelli ha parlato chiaramente di confronto in società e di ringiovanimento della squadra: intoccabile Pavel Nedved, che ha più compiti istituzionali, di alta strategia e di direzione generale, il dirigente che rischia è Fabio Paratici. Il credito dell’operazione-champagne Ronaldo è esaurito. La scelta di Sarri è stata un clamoroso errore, il flop in Champions costa decine di milioni. Sarri non può essere colpevole di tutto.