Mercoledì 24 Aprile 2024

Sara Simeoni e Pietro Mennea, 40 anni fa quegli ori eterni

Il 26 luglio 1980 la Simeoni vinceva nel salto in alto, due giorni dopo il bis di Mennea nei 200 metri: simboli della meglio gioventù azzurra

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E chi se la scorda più, quella estate del 1980. L’Italia fu insanguinata da due stragi orribili. L’aereo di Ustica e la stazione di Bologna.

In mezzo, la testimonianza della meglio gioventù dell’epoca. Perché questo erano (e restano, nella memoria collettiva) Sara Simeoni e Pietro Mennea. I volti puliti di una Patria che rifiutava di arrendersi alla violenza, alla corruzione, alla mancanza di quel sentimento vitale che è la poesia dei comportamenti.

Millenovecentottanta. Io avevo vent’anni e in Sara e in Pietro coglievo il senso autentico di una generazione. Lei saltava, lui correva. In una atletica già prigioniera degli apprendisti stregoni del doping, lei e lui rappresentavano le eccezioni.

La Simeoni si allenava con il compagno di una vita, Erminio Azzaro, già azzurro nell’alto. Mennea era un fachiro della fatica: il professor Vittori lo aveva convinto che massacrandosi di fatica sarebbe stato in grado di battere i velocisti neri sui 200 metri.

Ai Giochi di Mosca, entrambi si presentarono come primatisti del mondo. Nel 1978 Sara aveva scavalcato i 2,01. Invece Pietro nel 1979, nella altura messicana, aveva stampato un clamoroso 19”72.

Erano loro le grandi speranze italiane per la Olimpiade moscovita. Solo che rischiarono di vederla in televisione. Non per colpa di infortuni o accidenti vari.

Si mise di mezzo la politica dei Grandi della Terra. Pochi mesi prima della atroce e meravigliosa estate del 1980 l’Armata Rossa era entrata in Afganistan. Gli americani si indignarono e decretarono che, per protesta, il mondo libero doveva boicottare l’Olimpiade Made in URSS.

Era una sciocchezza, ma vallo a spiegare. Tante nazioni si adeguarono alla sollecitazione statunitense. A Roma il premier si chiamava Francesco Cossiga e democristianamente tentennava.

Narra la leggenda che proprio Mennea riuscì a persuadere il Presidente del Consiglio. Fu trovata una arzigogolata mediazione. Azzurri e azzurre sarebbero andati a Mosca (unici esclusi, gli atleti dei corpi militari). Ma senza inno e senza bandiera. Figli di un Dio minore, insomma. Ma presenti, in pista e in pedana.

Il 26 luglio del 1980 Sara Simeoni entrò nello stadio intitolato a Lenin tremando di paura. Non temeva le avversarie. Temeva se stessa. Un improvviso attacco di panico la paralizzò durante le fasi di riscaldamento.

Fu l’amore di una vita a salvarla. Appoggiato a un parapetto a bordo pista, Erminio Azzaro capì. E si mise a gridare: svegliati, Sara, svegliati, è questo il tuo giorno, ce la puoi fare.

Ce la fece. Rammento ancora l’emozione nel salotto di casa, davanti al televisore, quando l’asticella a 1,97 non crollò sotto le esili spalle di quella italiana nobile. La tedesca dell’Est Ackermann non riuscì ad imitarla.

Con l’oro al collo, versando lacrime tenerissime, la Simeoni avverì come una ferita la assenza delle note dell’inno di Mameli. “Allora -ha raccontato- mi misi a canticchiare a bassa voce Viva l’Italia, il bel brano di Francesco De Gregori”.

Mennea, lui, al momento della premiazione tenne le labbra rinserrate. Aveva pescato in fondo ai polmoni l’ultimo refolo d’aria, pur di conquistare l’emozione più grande.

28 luglio 1980. Finale dei 200 metri. Non ci sono i neri americani, tenuti a casa dal presidente Jimmy Carter. Ma c’è Alan Wells, un gigante scozzese già re dei 100 pochi giorni prima, in una gara che Mennea aveva interpretato malissimo, venendo eliminato in semifinale.

Può una agonia durare una ventina di secondi appena? Sì, la risposta è sì. La Freccia del Sud stava all’esterno, in ottava corsia. Partì malissimo e all’imbocco del rettilineo doveva rimontare quasi cinque metri al bisonte di Scozia.

Fu una apnea collettiva. Paolo Rosi, il leggendario telecronista della Rai, si mise a scandire una parola sola. Una sola.

“Recupera...recupera...recupera”: fino all’urlo liberatorio. “Ha vinto, ha vinto!”.

Ah, il 1980! Amori implosi, amori svaniti, amori infine sublimati sotto la fiamma della Olimpiade. Sara e Pietro, Pietro e Sara. La meglio gioventù d’Italia e quaranta anni dopo chi c’era ce l’ha sulla punta della lingua, la voglia di testimoniare la loro grandezza, la grandezza di Mennea e della Simeoni.

Grazie. Per sempre.