Venerdì 19 Aprile 2024

"Salvata da un libraio, ora torno in azzurro"

La pallavolista è rientrata dopo oltre un anno e due infortuni: "All’Europeo piangevo di gioia, un incontro mi ha cambiato la vita"

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di Doriano Rabotti

Sarah ha ripreso il vento, come era destino per la figlia di uno skipper. Sarah Fahr, centrale del Conegliano che domina il mondo a livello di club, è tornata a giocare dopo quasi un anno e mezzo e due brutti infortuni. E anche per le azzurre sarà un rinforzo importante, sotto rete. Soprattutto per la serenità che trasmette, leggere per credere.

Sarah, partiamo dalla svolta mentale, quella che l’ha aiutata a tornare?

"Va bene".

E’ vero che l’incontro decisivo è avvenuto in treno?

"Sì, con un libraio".

Che cosa c’entra un libraio con un infortunio così grave?

"C’entra. La prima volta lo stop non mi era pesato, anche se fu lunga. Ma dopo la riabilitazione, alla quinta partita con il club di Conegliano mi sono rotta di nuovo lo stesso legamento crociato. E lì mi è crollato il mondo addosso, vedevo tutto nero. Chi mi dice che tornerò come prima, mi chiedevo?"

E la risposta era sui libri?

"Stavo andando a Roma per la seconda operazione. In treno un signore si accorge che sto leggendo un libro e inizia a parlarmi. Era un libraio di Conegliano, coincidenza. Mentre gli raccontavo la mia storia, vedevo che non faceva le facce degli altri, che mostravano tutti compassione. Lui non era dispiaciuto. Ho capito perché quando mi ha raccontato la sua storia. Era nato semiparalizzato e ci aveva messo 18 anni di fisioterapia per camminare. Ho pensato: io dopo un mese tornerò a fare una vita normale, e mi lamento? Stai zitta e mettiti lì con la testa".

La prima volta non era stata così difficile?

"Il primo infortunio arrivò mentre ero all’Europeo, che poi abbiamo vinto. Pensai: fa parte del lavoro, può succedere, affrontalo e impara. Me lo dissero prima di pranzo, andai a mangiare che quasi ridevo e scherzavo, e le compagne di nazionale pensavano che fossi matta".

È vero che si soffre di più a guardare da fuori?

"Allora la finale dell’Europeo era molto vicina, mi sentivo tanto parte del gruppo. Ho visto la partita nella hall dell’hotel e quando ho capito che stavamo vincendo ho passato tutto l’ultimo set a piangere di gioia per le ragazze. Dopo un’Olimpiade in cui eravamo state troppo criticate, era la chance di dimostrare che eravamo forti".

Lei è nata in Germania da genitori tedeschi. Come è finita in Toscana?

"In realtà i miei si erano trasferiti all’Isola d’Elba prima che io nascessi, poi tornarono in Germania solo per avere la famiglia vicina per il parto. Ma pochi mesi dopo essere nata ero già a Piombino..."

Narra la leggenda che suo padre arrivò all’Elba via mare...

"No, no: è proprio vero. Io ci sono cresciuta, in barca, lui faceva lo skipper, una volta partendo dalla Germania superò la Francia, in Spagna caricò mio nonno e poi arrivò fino all’Elba".

Anche lei ama le onde?

"Fino ai 12 anni uscivo anche da sola, nella categoria Optimist, la mia barca si chiamava ’Streghetta del mare’. Poi la fifa per le onde grosse del mare d’inverno mi ha fatto scegliere definitivamente la pallavolo".

Anche perché dopo gli inizi nella ginnastica artistica, sarà diventata dura andare avanti, per una ragazza destinata a diventare alta 1 e 92...

"In realtà ho cambiato per un altro motivo. Sono sempre stata molto competitiva, l’insegnante non mi portava alle gare perché non ero abbastanza brava, o forse ero troppo alta. Così quando mia madre mi propose la pallavolo, che praticava anche la mia migliore amica, ho scelto di divertirmi".

Quanto si sente tedesca?

"A 13 anni ho scelto che sarei stata italiana, sul piano sportivo. In realtà mi sento tutte e due, il tedesco è la prima lingua che ho imparato. Diciamo che la mentalità è tedesca, il modo di vivere italiano al 100%".

La vostra nazionale è piena di italiane di seconda generazione. Tra di voi ne parlate?

"Mai, ci sentiamo solo ragazze italiane che giocano per la nazionale e hanno voglia di rappresentarla nella pallavolo. A volte ci facciamo anche due risate: la bolzanina Folie parla tedesco più di me, Egonu e Sylla usano l’inglese, a volte Miriam parla francese con i suoi, oppure la Malinov usa il bulgaro.."

Tutte ragazze molto autonome...come lei che a 13 anni è andata via di casa.

"Passai a Novara, che sento ancora come casa mia. Stavo iniziando a capire che la pallavolo poteva essere la mia vita, mi selezionavano per le nazionali giovanili e su youtube giravano video sul Club Italia. Capii che era lì che volevo andare, e ci arrivai. Dopo due anni a Novara in cui mi sono trovata benissimo".

Sarà stata dura, da sola, così giovane.

"Meno del previsto. I miei mi hanno sempre aiutato a trovare autonomia, andavo a scuola da sola anche se era lontana, oppure potevo dormire da un’amica anche per una settimana. Mi hanno dato fiducia".

Ha ancora quel motto sui sogni appeso nella cameretta?

"Fai della tua vita un sogno e di un sogno una realtà, dice. Sì, anche se mi capitò in mano un po’ per caso. Lo vidi in un negozio di articoli per bricolage e me lo comprai. È diventata la frase della mia vita".