Quando Owens battè Hitler e l’Italia di Davis umiliò Pinochet

Se la sfida tra la Francia e l’ex colonia Marocco ha attirato ieri l’attenzione del mondo, spesso lo sport è sceso in campo in condizioni e momenti storici molto particolari. Clamoroso fu il sorteggio dei Mondiali 1974 quando l’ultima pallina mise a confronto nello stesso girone Germania Est e Germania Ovest, a 13 anni dalla costruzione del Muro di Berlino e in piena Guerra Fredda. La vittoria della Germania Est fu un episodio storicizzante tant’è che ancora oggi nell’ex DDR ci sono persone che domandano: "Tu cosa stavi facendo quando segnò Sparwasser". Quattro anni dopo in Argentina il Mondiale fu ospitato sotto il Regime di Videla impegnato a ricostruire l’immagine dell’Argentina distrutta dalle prime notizie sui"Vuelos de la muerte" e le migliaia di desaparecidos di cui le madres de Plaza de Mayo chiedevano notizia. Due anni prima che le squadre giocassero allo stadio Monumental a un chilometro circa dalla Escuela de Mecanica, principale centro di detenzione e tortura del Regime, il Sudamerica fu teatro di una clamorosa protesta in Coppa Davis: gli azzurri, dopo un interminabile dibattito se giocare o no la finale di Coppa Davis a Santiago durante la sanguinosa dittatura di Pinochet, decisero di schierarsi in campo in divisa rossa, allora clamorosa per il tennis. Il primo grande caso di sportwashing fu però quello delle Olimpiadi di Berlino del 1936, organizzate dal Regime nazista per dare al mondo una dimostrazione di efficienza e benessere da contrapporre alle accuse di discriminazione razziale che già colpivano il Fuhrer. Hitler aveva organizzato tutto per dimostrare la superiorità della razza ariana, peccato che nella attesissima finale del salto in lungo il prototipo per eccellenza dell’atleta perfetto ariano, Luz Long, venne battuto da Jesse Owens, atleta di colore dell’Alabama. L’amicizia fraterna fra i due suggellò per sempre la bestialità del regime a fronte della bellezza dello sport e dei suoi campioni.