Martedì 23 Aprile 2024

"Pogba, la Juve per ritrovarsi. Giroud un affare"

L’uomo Premier presenta il boxing-day di sabato e consiglia le italiane: "Paul deve cambiare aria. La punta del Chelsea perfetta per l’Inter"

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di Gianmarco Marchini

Se c’è una cosa che non manca mai sotto l’albero degli inglesi, è lo spettacolo. A quello provvede ogni anno la Premier League con il boxing day. Da ‘box’, la scatola, appunto, che il giorno di Santo Stefano veniva donata a lavoratori e operai. Poi a qualcuno venne un’idea: sostituire il pacco con una sana partita di pallone. Era il 1860, giorno più giorno meno. Il Dio del calcio vide che era cosa buona e da lì la storia è nota. Al di là della Manica, un pezzo di quella storia l’ha scritta Paolo Di Canio con le maglie di Celtic, Sheffield, West Ham e Charlton. Oggi è una delle voci più apprezzate di Sky Sport, e domani sarà in onda con lo speciale ‘Fuori dagli schemi: Cantona e gli altri’. "Parleremo di talenti che, nella vita e in campo, hanno vissuto in modo eccentrico, alcuni persino fuori dalla legge. Tutti hanno superato la linea del rispetto della propria dignità. Però tutti sono entrati nella storia".

Fuori dagli schemi fu un episodio in un Everton-West Ham di venti anni fa esatti. Minuti finali, punteggio sull’1-1. Il portiere di casa a terra, e l’attaccante che, con la porta vuota, ferma la palla con le mani: il secondo era Di Canio.

"In ognuno di noi credo convivano una parte di bene e di male. Non ero un diavolo quando spinsi l’arbitro (Sheffield-Arsenal, settembre 1998, ndr): sbagliai, lo dissi, era un periodo brutto per me. Non ero un santo quando fermai quell’azione. Era evidente che Paul Gerrard si fosse fatto male: era in vantaggio, non aveva ragione di fingere. Mi accorsi e non ci pensai un attimo. È vero, però, che quasi quasi i miei compagni e Redknapp stavano per ammazzarmi negli spogliatoi, poi finii a ridere... La cosa bella è che quando tornavo a Goodison Park mi osannavano come un loro beniamino, praticamente giocavo in casa, cantavano il mio nome, un ricordo bellissimo. Questa è la Premier".

C’è un boxing day che ricorda più degli altri?

"Sì, nel 2003, quando col Charlton schiantammo 4-2 il Chelsea di Abramovich e Ranieri che stava aprendo un’epoca. Io feci due assist (uno ubriacando Terry e la difesa blues, ndr)".

Quest’anno Santo Stefano trova una Premier aperta a ogni scenario.

"E’ l’unico campionato in Europa dove tra la seconda, il Leicester, e la decima, il West Ham, ci sono appena 6 punti. Negli altri tornei, minimo 11 punti. Qui, invece, ogni due partite cambia tutto: il Tottenham era primo, ora è sesto. E’ una meraviglia e durerà a lungo in questa stagione".

Ancelotti lo davano per finito, con l’Everton è quarto.

"E’ stato bravo, ha fatto di necessità virtù: perse le due catene che andavano a meraviglia, ha compattato la squadra con una linea a 4 dietro, che poi sono quattro centrali. E ha saputo privarsi di James, uno che sapevo sarebbe scomparso quando arrivano il freddo, la pioggia, i campi pesanti e le entrate degli avversari che ti ribaltano".

Da un ex milanista a un milanista: quanto è stupito da Pioli?

"Sono sorpreso, ma non perché Pioli non sia bravo. Però a bocce ferme nessuno si sarebbe immaginato un Milan così. E’ la grandezza della normalità. Pioli ha ereditato una squadra impaurita, ha fatto un grande lavoro, poi è arrivato Ibra che ha tolto il peso agli altri: ma il tecnico è stato bravo a continuare sulla sua strada. E’ tornato a un calcio semplice, un 4-2-3-1, che poi è un 4-4-1-1, ma di grandi contenuti tecnici: un calcio molto scontato tra virgolette, nell’accezione positiva, fatto senza sbavature, coi tempi giusti. E’ quello che fa Flick quando prende un Bayern sotto un treno: ripesca Muller che da 2 anni era sparito e lo rimette al centro del progetto, con un 4-2-3-1 dove ognuno agisce nella sua porzione di campo. Non c’è un tourbillon di movimento come cercava Pirlo a inizio stagione rischiando di incartarsi, perché ognuno vuole dare il suo marchio. Ma tu il marchio puoi darlo facendo un calcio secondo la tradizione, ma con alcuni dettagli tuoi, come il pressing ultraoffensivo che ha funzionato col Parma. La grande sfida di Pirlo sarà convincere la squadra ad essere aggressiva per 90’".

Può essere utile alla Juventus il Pogba ai margini nello United di Solskjaer?

"E’ un peccato, parliamo di un ragazzo che tre anni fa ha vinto il mondiale, poi è sparito. Prima una guerra da presuntuoso con Mourinho per la leadership: è riuscito a cacciarlo, ha fatto bene le prime 7-8 partite col nuovo tecnico, poi stop. Gioca per se stesso, non vuole difendere, attacca in modo sterile. Però cambiare ambiente può fargli bene".

L’Italia poi la conosce già, come Morata.

"Capiamoci: da noi ci sono ritmi bassi, come intensità siamo tre marce in meno rispetto alla Premier. Guardate Mkhitaryan, Pedro, Ibrahimovic: non erano più titolari là, vengono qua e dominano. Morata lo stesso: al Chelsea e all’Atletico non è mai stato su questi livelli. Torna e spacca il mondo. Perché? Dobbiamo dirlo: qui fisicamente non ti contrasta nessuno, nessuno che ti metta paura. Negli anni ‘80 e ‘90 erano i Platini e gli Zidane a doversi adattare. Quindi ok al ritorno di Pogba, ma ad una condizione".

Quale?

"Non può venire in punta di piedi: deve correre per prendere posto in questa Juve muscolare. Prendete Ramsey: lo dicevo l’anno scorso, è il migliore che hanno acquistato. Appena ha capito i meccanismi, ha fatto la differenza qui. È il più bravo a legare le due fasi di gioco, dà quel pressing in avanti, Pirlo non ne può a fare meno".

Conte, invece, fa volentieri a meno di Eriksen. Chi dei due ha più da rimproverarsi in questa storia?

"Antonio ha un suo credo, ed è legittimo perché l’ha portato a vincere. Sappiamo che il danese non fosse il giocatore che voleva esattamente. Non lo vedeva e non lo vede, ma non gli si può fare una colpa di questo, così come non ha colpe il ragazzo deluso dal poco impiego. Piuttosto Conte deve prendersi la responsabilità su Vidal che ha voluto a ogni costo. Arriva all’Inter e lo metti davanti alla difesa e ti fa quegli errori costati caro in Champions. Ma io me l’aspettavo che il cileno faticasse, perché non ha più l’aggressività dei giorni migliori: già dai tempi del Bayern. Quando vinci così tanto, per quanto ti richiami il ’tuo’ tecnico, non puoi più avere quel sacro fuoco. Poi, certo, in una squadra che vince e domina anche lui può fare la sua parte".

E Giroud che ruolo potrebbe recitare in Italia?

"Ha caratteristiche precise, è un dominante: fa salire la squadra, ha imparato ad attaccare lo spazio, certo non è un velocista. Ma se lo dai all’Inter, dove gli arrivano tanti palloni, fa tanti gol. E’ perfetto come riserva di lusso, come fa col Chelsea del resto, è uno che ti ripaga sicuramente. Ai nerazzurri, ma anche alla Juve farebbe molto comodo".