"Pirlo, questa Juve è costruita per Allegri"

L’analisi di Sacchi: "Il tecnico bianconero ha fatto lo stesso errore di Sarri, accettare una squadra non adatta. CR7? Mai un problema"

di Giuseppe Tassi

L’oracolo di Fusignano è una meta obbligata. Nell’era di un calcio malato, che va alla ricerca delle radici perdute, le parole di Arrigo Sacchi pesano doppio. È lui il rivoluzionario, l’uomo che ha cambiato l’immagine del nostro calcio in tutto il mondo. Il suo Milan é il miglior club della storia, secondo World Soccer, e France Football colloca Sacchi al terzo posto nella classifica degli allenatori di tutti i tempi dopo Michels e Ferguson, due monumenti del pallone.

Sacchi, che calcio é quello che fa scappare un allenatore come Prandelli?

"È un movimento che rispecchia i limiti culturali del Paese: la resistenza al cambiamento, la paura dell’innovazione, il ricorso agli espedienti e alla furbizia come ascensori verso il successo Negli stadi, prima del Covid, il coro più diffuso era “devi morire”, come duemila anni fa nelle arene dei gladiatori".

Molti non credono allo stress da pallone, eppure lei come Prandelli ne è rimasto vittima.

"Lo stress oggi é in ogni piega della nostra vita e Cesare è un uomo molto sensibile. Io con questo incubo ci ho convissuto da sempre, anche quando guidavo il Fusignano. Lo stress mi causava febbri improvvise e gastrite ma era anche una forte molla psicologica. Scalando i gradini del calcio me lo sono portato dietro stagione dopo stagione. Non rinnovavo mai il contratto per più di un anno perché pensavo srmpre di smettere. Quando lasciai prima l’Atletico e poi il Parma, vent’anni fa, capii che non ero più in grado di godermi la gioia di un successo, che la mia mente era scarica. Al momento di lasciare dissi a Tanzi: non mi interessa essere il più ricco del cimitero ".

Eppure qualcosa sta cambiando: nel calcio italiano spira anche aria nuova...

"Fino agli anni Ottanta gli italiani erano etichettati come pizza, spaghetti, mafia e catenaccio. Il mio Milan fece da apripista verso una nuova mentalità che metteva al centro la bellezza, la qualità, il merito. Fra l’88 e il ‘99 i nostri club hanno conquistato 16 competizioni internazionali. Dal Duemila ad oggi ne abbiamo vinte tre".

Adesso, però, c’è chi ha raccolto il messaggio di quel Milan: penso all’Atalanta di Gasperini.

"Giusto dargli due panchine d’oro di fila. Ha costruito una squadra che gioca con undici uomini in tutte le fasi, impiegando giocatori semisconosciuti o riciclati come Zapata e Muriel. Un grande lavoro sta facendo anche Pioli nel Milan, perché ha dato alla sua squadra una forte personalità, tanto da vincere dieci partite senza Ibrahimovic. Ma mi piacciono per coraggio tattico anche il Bologna di Mihajlovic, il Sassuolo, lo Spezia".

E l’Inter capolista che tipo di squadra è?

"Conte è un bravissimo allenatore che lotta per uscire dal suo passato. A 24 anni, quando era mio giocatore, già pigliava appunti sulle metodologie di allenamento. È uno che rincorre la perfezione anche se sa che non potrà mai raggiungerla. Oggi le sua Inter privilegia il contropiede con Lukaku e Lautaro. Ma per essere grande in Europa deve trovare un equilibrio più alto e Conte lo sta cercando: ce la farà".

La Juve invece è prigioniera di CR7?

"I grandi giocatori non sono mai un problema. Diventano un arricchimento quando sono funzionali al gioco e la squadra è costruita bene intorno a loro. L’esempio di Ibra nel Milan é lampante".

Quali sono le responsabilità di Pirlo?

"Le stesse di Sarri, cioè di aver accettato un modello di squadra che era su misura per un altro tipo di calcio: quello di Allegri. Se Pirlo non ha messo bocca sul mercato, ha fatto male perché oggi più che mai l’allenatore deve essere anche un manager all’ inglese".

La Nazionale di Mancini che avanza a colpi di record come la valuta?

"Roberto ha fatto in grande lavoro, un piccolo miracolo in un Paese di scarsa cultura calcistica come la nostra. Non solo ha valorizzato giovani che in campionato erano ignorati ma ha creato un gruppo solido, cancellando invidie, protagonismi e gelosie. Ha avuto il coraggio di scegliere gli uomini più funzionali al suo progetto".

Da dove comincerebbe a cambiare il calcio di oggi?

"Dalla testa, cioè dai proprietari dei club che sono la chiave di tutto. Molti degli attuali dirigenti mirano solo al business o eccedono in megalomania. Senza amore per il calcio e con scarsa competenza, è impossibile crescere. Lo ha insegnato il mio Milan".