Non ripetiamo l’errore di Imola

Leo Turrini

Ha ragione Lewis Hamilton. Mai dimenticare cosa si cela dietro la copertina del romanzo chiamato Formula Uno.

È vero: rispetto ad epoche crudeli, il Circo a quattro ruote ha innalzato tantissimo i livelli di sicurezza. Investimenti enormi sono stati fatti per migliorare la resistenza e la solidità delle macchine, così come si è lavorato molto sulle piste.

I sacrifici estremi di Roland Ratzenberger e di Ayrton Senna, nel remoto 1994, contribuirono ad accentuare la consapevolezza che di corse non si doveva morire. Da allora, i Gran Premi hanno preteso una vita, quella di Jules Bianchi. Sempre troppo, a scanso di equivoci.

Dicevo all’inizio che ha ragione Hamilton. Il suo commento immediato allo spaventoso incidente che ha fatto temere il peggio per Romain Grosjean, ecco, vale come monito per ognuno di noi, per i guardoni da autodromo, per gli appassionati non messi in fuga dal noioso dominio della Mercedes.

In breve. Ci siamo abituati all’idea che il pericolo non frequenti più i circuiti. Ci siamo cullati nella ingenua convinzione che ormai la Formula Uno si sia trasformata in un innocuo video gioco. In una attività che, non per caso, sempre più spesso propone protagonisti giovanissimi. Addirittura Max Verstappen debuttò minorenne e allora ti viene da pensare che tra la Play Station e una gara non ci sia poi tutta questa differenza.

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