Nibali ottiene il giusto premio alla carriera

Angelo

Costa

Vincenzo Nibali sul palco dell’Arena, premiato per le sue imprese del passato, ed è giusto così: a testa altissima, lo Squalo saluta il Giro, del quale è stato protagonista per una carriera intera. Meriterebbe di fare passerella anche il magnifico Van der Poel, che si è esibito in tutto il suo talento, colmando i limiti del cartellone proposto da questa edizione: si spera di rivederlo anche in futuro, sempre in veste di attaccante e non da uomo di classifica quale non è, né ha intenzione di diventare.

Due grandi attori e poco altro da ricordare in questo Giro. Storico solo per la statistica: un australiano, nell’albo d’oro, ancora non era entrato. Dirà il futuro se Jai Hindley è uomo per tutte le stagioni o campione solo per le strade d’Italia, dove tra l’altro è stato svezzato come ciclista: se fa festa a Verona è perché si rivela il più freddo nel giocare le proprie carte, dopo un viaggio in cui la lotta per la maglia rosa è stata la grande assente.

Tra le assenze si registra anche quella del nostro ciclismo. Ampiamente prevista: dopo una primavera a digiuno di piazzamenti, pensare di trovare un nuovo italiano da classifica era pura utopia. Aggrapparsi a grandi vecchi come Nibali e il coraggioso Pozzovivo non è un bel segnale: rispetto ad altri Paesi, qui non solo mancano talenti già da corsa, ma se ne intravedono pochi. Ci si illude che una squadra italiana d’elite (a giorni svelerà il suo progetto anche l’ex ct Cassani) sia la medicina giusta, quando sarebbe meglio cambiare mentalità fin dalle categorie giovanili, dove l’esaperazione per la vittoria non aiuta a crescere i giovani, ma a consumarli o a smarrirli. In Italia non vale solo per il ciclismo: ma mai come stavolta, mal comune e mezzo gaudio meglio lasciarli da parte.