Giovedì 18 Aprile 2024

Mondiali ciclismo 2019, le pagelle. Gli azzurri corrono da campioni

Niente da rimproverare alla Nazionale di Cassani. Evenepoel e Van der Poel la meglio gioventù, Sagan, Alaphilippe e Van Avermaet non pervenuti

Matteo Trentin (Ansa)

Matteo Trentin (Ansa)

Roma, 29 settembre 2019 - Mads Pedersen ha vinto i Mondiali di ciclismo 2019 ad Harrogate, nello Yorkshire, prima volta di un danese in maglia iridata. Splendido secondo l'azzurro Matteo Trentin, davanti a Stefan Kung e a Gianni Moscon. Ecco i voti di Angelo Costa 10 a Pedersen. A 23 anni regala alla Danimarca il primo titolo iridato, rispettando un disegno tattico prestabilito: va all’attacco da lontano per aprire la strada a Valgren e Fuglsang, ma siccome quelli non arrivano se la gioca fino in fondo. Secondo a un Fiandre, vincitore di una Rubè baby, non è una sorpresona: forse è un predestinato. 9 a Trentin. Fa tutto quel che deve fare, correndo coperto e facendosi trovar pronto quando si muove il pericolo numero uno, Van der Poel. E’ sempre in controllo, non butta via una goccia di sudore, ma non gli basta: perde perché gli mancano 150 metri, gli ultimi, una beffa per chi, più di tutti, ha corso da campione del mondo. 9 a Cassani. Costruisce una Nazionale operaia, nessun fuoriclasse e tanti mediani col senso del gol. Puntando sulla voglia di lottare e sullo spirito di squadra, estrae una corsa senza sbavatura, piazzando l’uomo giusto al momento giusto: finisce in lacrime e va compreso, perché non vincere anche quando non sbagli niente è il peggiore dei castighi. 8 a Moscon. Sarà l’aria del mondiale, sarà la fiducia riposta in lui dal ct Cassani, in ogni caso il trentino recita alla grande: prima rimedia ad una distrazione di gruppo, rientrando su Pedersen che ha allungato con Teunissen, poi si mette a disposizione di Trentin, creando il solco che permette di arrivare allo sprint per l’oro. Quarto (posto) di nobiltà. 7 a Evenepoel. Quando cade Gilbert, che non solo è il leader del Belgio ma anche il suo modello, il bimbo prodigio non esita a fermarsi e ad aiutarlo: pur di farlo rientrare, si spolmona, chiudendo il suo primo mondiale a cento chilometri dall’arrivo. Applauditissimo per l’argento nella crono, merita applausi anche per come sta in squadra: fenomeno totale. 6 a Van der Poel. Non sbaglia una mossa: corre coperto fino a quando, a 33 chilometri dall’arrivo, esce dalla tana e fa saltare la corsa. Sbaglia invece ad alimentarsi, che in giornate bagnate e fredde come questa conta più di tutto: dopo esser andato come una moto, si ritrova col serbatoio vuoto. Di mondiale gli resta solo il peccato di gioventù. 5 a Sagan. E’ il killer silenzioso per oltre cinque ore di gara: nascosto nella pancia del gruppo, mette il naso fuori solo per rifornirsi ai box. Non lo vedi mai e per questo pensi che sia il cliente più pericoloso per tutti: purtroppo per lui, non si vede nemmeno quando il gioco si fa duro, a parte i chilometri finali, quando ormai i giochi per il podio sono fatti. 4 a Alaphilippe. Ha la Francia al suo servizio, che si muove al suo comando. Ha le gambe che frullano come nei giorni belli di primavera e del Tour: gioca con la bici, regala smorfie e moine come piace tanto Oltralpe. Sembra che da un momento all’altro possa decollare e fare il vuoto: sembra, appunto. 4 a Van Avermaet. E’ in grande forma, ha accanto una squadra in cui almeno in sette possono giocarsi l’iride. In più, quando Gilbert finisce in terra, alza il ritmo in testa alla corsa, come se volesse togliersi di torno un compagno scomodo. Scomodo, invece, si rivela per lui l’assalto di Trentin e Van der Poel: chiude ottavo, ma è il più sconfitto di tutti. 0 ai milordini. Non sorprende che piova sullo Yorkshire: il maltempo nel Regno Unito è un marchio di fabbrica. Sorprende l’esercito degli scandalizzati, secondo i quali non si può correre in un Paese dove ogni giorno si fa la doccia all’aperto. Magari sono gli stessi che quando si corrono Fiandre e Rubè con pioggia e neve parlano di ciclismo epico. Mitici.