Mondiali 2022, Usa-Iran: la madre di tutte le partite

Martedì 29 settembre va in scena una delle sfide più attese del Mondiale. E non solo per il risultato sportivo, ma per i risvolti politici

Qatar, 26 novembre 2022 - Martedì 29 novembre 2022. Questa data era stata sottolineata da mesi, col pennarello rosso, sul calendario dei Mondiali. Alla luce degli ultimi eventi (sportivi ma non solo) in quel giorno i novanta minuti di gioco finiranno nel frullatore carico di emozioni, di tensioni, di motivazioni anche extracalcistiche. Dove lacrime, sorrisi, silenzi e gesta dei calciatori in campo si incroceranno portandosi dietro significati importanti. Già, perché il penultimo giorno del mese è in programma una delle sfide più attese di Qatar 2022: Stati Uniti contro Iran, ovvero “la madre di tutte le partite“ (e qui c’entra poco il pallone), o ancor meglio l’incrocio tra due nazionali che rappresentano due nazioni e due culture all’opposto e da sempre in forte contrasto politico. In palio c'è la qualificazione agli ottavi di finale ma non solo un così prestigioso traguardo sportivo. Perché il significato del match va ben oltre il verdetto del campo. 

La squadra di calcio americana e tifosi iraniani allo stadio
La squadra di calcio americana e tifosi iraniani allo stadio

Ma ci sono altri motivi che "incendiano" l'attesa, trascinandosi dietro pezzi di storia: da oltre due anni Washington e Teheran hanno relazioni minime, quasi nulle. Con rapporti sempre più tesi. Bisogna riavvolgere il nastro della storia e tornare al 3 gennaio 2020, quando durante un raid statunitense a Baghdad venne ucciso il generale iraniano Qassem Soleimani, popolarissima icona delle guardie della rivoluzione e artefice della politica estera del suo Paese. L’Iran definì l’accaduto un gravissimo affronto, come se  si trattasse di un’esplicita dichiarazione di guerra.  E poi ci sono le tensioni generate dalla guerra in Ucraina, dove Teheran è fra i principali e dichiarati alleati militari della Russia, alla quale la Repubblica Islamica gira centinaia di droni. Del resto è dal lontanissimo 1979 che le relazione tra i due Paesi sono state sempre molto fredde. Fu quello l’anno della rivoluzione islamica di Khomeini il quale spodestò dal trono il monarca filostatunitense e certamente meno conservatore Rheza Palevi, instaurando una teocrazia sciita che portò all’individuazione del grande nemico da abbattere. Fu l’inizio della “Rivoluzione“ contro l’imperialismo e “la forza arrogante“ a stelle e strisce, che ebbe come prima conseguenza il sequestro di numerosi funzionari all’interno dell’ambasciata statunitense a Teheran. E la rottura delle relazioni diplomatiche frale due nazioni. Da allora, e fino ai tempi nostri, gli Stati Uniti rappresentano il “grande Satana“ per gli ayatollah iraniani. Dall’altra parte la teocrazia sciita viene vista come oscurantista dagli statunitensi. Ecco perché quasi vent’anni dopo, alla sfida del 1998, si arrivò in un clima ancora avvelenato, dopo i primi mugugni nel sorteggio tenuto a Marsiglia del 4 dicembre 1997, giorno in cui la nazionale iraniana venne inserita nel girone F con Germania e Jugoslavia. Terminato il sorteggio, americani e iraniani segnarono sul calendario il 21 giugno 1998, il giorno per la sfida “caldissima“. Appuntamento al “De Gerland” di Lione. Gli iraniani contro gli americani, un pallone a dividerli. Solo nell’immediata vigilia le due federazioni decisero che era meglio e più opportuno parlare solo di calcio e non soffiare sul vento della politica. Almeno per novanta minuti. Perché c’era il mondo intero che li guardava. Ad agitare le settimane precedenti il match furono altri episodi: la Fifa venne informata che in circolazione c’erano circa 7000 biglietti, poi acquistati da personaggi vicini ai Mujahedin Khalq, gruppo in contrasto con la Repubblica Islamica e finanziato dall’Iraq di Saddam. Il loro obiettivo era quello di trasformare il match in un momento in cui rivendicare la propria azione contro le autorità di Teheran. magari in maniera eclatante, con invasioni di campo o striscioni provocatori. Insomma, comunque tensione alle stelle. Toccò a tale Mehrdad Masoudi, addetto stampa e delegato Fifa (di origini iraniane) per la partita, gestire quel 21 giugno del 1998: non solo il regolare svolgimento del match, ma anche tutto ciò che era di contorno, a partire da eventuali incidenti diplomatici. Per protocollo andava definita intanto la squadra A e la squadra B, e per regolamento sarebbe toccato a quest’ultima, dopo gli inni nazionali, ad andare verso la squadra A per il saluto agli avversari. Destino volle che la squadra A fosse quella statunitense ma gli ayatollah più vicini a Khamenei chiamarono i dirigenti della federcalcio presenti a Lione con un ordine per tutti: non andare verso gli americani per stringere le mani. Masoudi dovette mediare per cercare una soluzione gradita a tutti e gli statunitensi accettarono di invertire il protocollo: per una volta toccava alla squadra A ad andare incontro alla squadra B. Ma c’era ancora il rischio di quei settemila personaggi sugli spalti pronti a inscenare una clamorosa protesta contro la Repubblica Islamica. Il solerte dirigente Fifa delegato Fifa in effetti notò striscioni provocatori, inneggianti i Mujahedin Khalq. Allora fu chiesto alle televisioni di non riprendere quei settori dove emergevano criticità e la protesta si rfermò a Lione senza andare in mondovisione. Inoltre fu schierata la polizia in tenuta antisommossa lungo il perimetro del campo: in questa maniera venne scongiurata una possibile invasione. A rasserenare ulteriormente gli animi la decisione del presidente della federcalcio iraniana, Mohsen Safaei Farahani, che fece entrare i suoi giocatori in campo con una rosa bianca in mano. Un ulteriore gesto di distensione immortalato in una storica fotografia con i 22 calciatori protagonisti. L’arbitro svizzero Urs Meier diede il calcio d’inizio: il centrocampista iraniano Hamid Estili ruppe il ghiaccio di testa prima del giro di boa, poi nella ripresa gli iraniani gestirono il match raddoppiando a sei minuti dal termine con il difensore Mehdi Mahdavikia. A poco servì il gol della bandiera realizzato da McBride per gli States. Al triplice fischio finale grande festa per l’Iran: la prima vittoria ad un mondiale proprio contro gli Stati Uniti. Martedì la nazionale di Quieroz sogna di ripetersi: in un sol colpo riuscirebbe a centrare la qualificazione e a mandare a casa gli americani. Stessa cosa vale per Mc Kennie e compagni, che però sanno di aver qualcosa in più da perdere. Resta da capire con chi schiererà il pubblico: finora gli iraniani hanno commosso il mondo attirandosi insperate simpatie. E forse per loro questo è già un gran bel successo.