La favola del Marocco e dei suoi eroi cresciuti all'estero

Ben 16 dei 26 calciatori maghrebini non sono nati in patria ma hanno conservato la cittadinanza del Marocco. E voluto a tutti i costi la nazionale

L'esultanza del Marocco dopo la vittoria con il Portogallo (Ansa)

L'esultanza del Marocco dopo la vittoria con il Portogallo (Ansa)

Non svegliateli dal sogno. E’ tutto vero. Più forti di tutto e di tutti, più forti anche di quella straordinaria nazionale guidata da Henry Michel che nel 1998 sfiorò la qualificazione agli ottavi beffata sul più bello quando già si cominciava e esultare. Questo Marocco arrampicatosi fino alle semifinali del Mondiale più strano e indecifrabile della storia, non finisce di stupire. Squadra né antica né moderna: trasversale. Con un ct, Regragui, che ha inculcato ad un gruppo di calciatori di qualità geometrie di gamba e di cuore. "Giocate come sapete, perché sapete come si gioca", il ritornello prepartita negli spogliatoi.

Cinque partite, e un solo gol subìto: su autorete, per giunta. Quattro grandi nazionali europee mandate a casa. L’ultima vittima è il talentuoso Portogallo, dopo la Spagna delle "sartine". Difesa solidissima e non solo per il Marocco, squadra che bada al sodo come poche. E poi ci sono i singoli, perché pure loro fanno la differenza: lo stoicismo di capitan Saiss, le galoppate di Hakimi, i guizzi di Ziyech, l’eretismo podistico di Amrabat e mettiamoci pure l’ingenua follia di Cheddira, travolto dalla tanta, troppa emozione. 

Quella col Portogallo Non è una partita che ricorderemo per il livello tecnico ma se i lusitani non sono riusciti a giocare è soprattutto per merito degli avversari. Una bella sorpresa di questo mondiale brutto e cattivo. Qualcuno dirà: il Marocco è più scorbutico che bello, non gioca un calcio da favola. Ma è comunque una squadra da favola. Quelle belle che racconti ai bambini. Che non si vive di soli schemi. Ma tutto ciò non è avvenuto per caso: la  nazionale maghrebina può contare su una organizzatissima e capillare rete di scouting con tentacoli in tutta Europa, dal Belgio alla Spagna, passando per la Francia e l’Italia. Non a caso il Marocco è una delle Nazionali presenti in Qatar che maggiormente attingono dal serbatoio delle diaspore europee: addirittura 16 dei 26 giocatori selezionati dal ct Regragui non sono nati in patria, tutti  figli di immigrati di seconda generazione spesso rimasti marocchini per le leggi ostiche sull’acquisizione della cittadinanza. Di fatto hanno portato sul campo la rabbia sportiva di una storia di lotta millenaria

Da Yassine Bounou, portiere titolare del Siviglia, nato in Canada ma  trasferitosi da bambino in Marocco, patria dei genitori, dove è è cresciuto con la maglia del glorioso Wydad Casablanca, ad Achraf Hakimi, una delle stelle della squadra, nato in Spagna (avrebbe potuto scegliere la Roja, ma ha optato per il paese dei genitori sin dall’Under 20). E poi Noussair Mazraoui, nato da genitori emigrati in Olanda  e calcisticamente cresciuto nell’Ajax. Un po’ come Sofyan Amrabat, pure nato in Olanda tant’è che inizialmente vestì la casacca della Nazionale Orange, all’epoca dell’Under 15 (poi il cambio rappresentativa con il Marocco Under 17). Senza dimenticare lo stesso Walid Cheddira, nato a Loreto e ora consacratosi col Bari in serie B e ovviamente il fuoriclasse Hakim Ziyech,  nato  a Dronten (Olanda), da genitori marocchini. Anche lui avrebbe potuto vestire la maglia di una delle due Nazionali. Dopo aver accettato l’Olanda Under 20 e 21, ha cambiato rappresentativa, diventando uno dei simboli del Marocco. "Penso che tutti abbiano mostrato al mondo che ogni marocchino è marocchino - ripeteva spesso nei giorni scorsi con orgoglio patriottico Walid Regragui -. Quando arrivano in nazionale, ucciderebbero per il Marocco. Ne abbiamo alcuni nati in Olanda, Belgio, Francia, Spagna... Ogni Paese ha la sua cultura calcistica, la mescoli e vai ai quarti di finale. Non abbiamo dietro un solo Paese, c’è un intero continente che ci sostiene, affinché possiamo fare la storia".

Del resto lo stesso ct ha una storia che tanto assomiglia a quella dei suoi calciatori: "Sono nato e ho studiato in Francia, ma è il mio Paese di origine che mi ha dato una possibilità. Ho dovuto restituire alla Federazione quello che mi hanno dato, la fiducia... per poter crescere in Marocco come allenatore. Non ha niente a che fare con l’essere arabo o no. Ho combattuto per questo. Forse quando sarò vecchio sarò orgoglioso, ma per il momento sono orgoglioso soprattutto per il mio Paese. E con un allenatore autoctono è la cosa migliore per me e per il mio Paese". 

Uomini, non solo sportivi. Gente che ha accettato una classificazione sempre più superficiale: "marocchino", attribuito a ogni immigrata o immigrato nordafricano, perché tanto "sono tutti uguali". Oggi forse sì, ma in un modo imprevedibile. Romantico. Ecco perché il calcio sa essere bellissimo.