Mondiali 2022, la 'lezione morale' di Infantino e quel triste silenzio sull'Iran

La retorica del presidente Fifa che invita gli europei a guardare i loro 3.000 anni di storia. Ma dimentica la sanguinosa repressione di Teheran

"Oggi mi sento qatariota, mi sento arabo, mi sento africano, mi sento gay, mi sento disabile, mi sento un lavoratore migrante...". E bla bla bla. Quando alla vigilia del calcio d’inizio del Mondiale di Doha, Gianni Infantino, presidente della Fifa, ha dato lezione di morale 'urbi et orbi' per nascondere contraddizioni, vergogne e nefandezze cominciate ancor prima (1° dicembre 2010) dell’assegnazione dell’evento in Qatar (le cui responsabilità ad oggi sono soprattutto del suo illustre predecessore Joseph Blatter) in tanti hanno sorriso.

Perché, siamo sinceri, sembra di ritrovarsi nelle parole di Francesco Guccini quando senti il discorso del numero uno del calcio mondiale. Quelli che hanno buona memoria e discrete conoscenze musicali, e soprattutto appartengono alla generazione dei nostalgici ricorderanno quei versi del 1974: "Io tutto, io niente, io stronzo, io ubriacone, io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista. Io ricco, io senza soldi, io radicale, io diverso ed io uguale, negro, ebreo, comunista. Io frocio, io perché canto so imbarcare, io falso, io vero, io genio, io cretino. Io solo qui alle quattro del mattino, l’angoscia e un po’ di vino, voglia di bestemmiare”. L’unica differenza che quella era una ‘Avvelenata’, un’invettiva, un’imprecazione, un durissimo sfogo del cantautore dopo una forte critica di un giornalista che lo aveva accusato di aver scritto le canzoni di “Stanze di vita quotidiana” in modo forzato e senza alcun tipo di creatività. Quella di Infantino, invece, è sembrata invece una retorica un po’ tardiva, anzi fuori tempo massimo. E anche un tantino ipocrita per esprimere realismo davanti a una scelta meramente economica e di marketing, tutt’altro che etica o con motivazioni sportive.

Senza sfiorare minimamente l’argomento dei diritti umani in un Paese che ne riconosce ben pochi. Infantino invece, dopo aver trasferito da tempo armi, bagagli e cartacce nell’Emirato lasciando l’amena svizzera, nulla dice su quel che accadde il 2 giugno 2015, quando Blatter si dimise da presidente della Fifa, dopo 17 anni consecutivi (accadde quattro giorni dopo la sua rielezione e sei giorni dopo gli arresti di sette dirigenti Fifa su richiesta Fbi). E nulla ha da dire alle famiglie dei 6.500 operai morti nei cantieri dei Mondiali in condizioni definite "schiavistiche" dalle organizzazioni umanitarie. No, meglio fare "mea culpa" consueto per i tremila anni di colpe degli occidentali che, tuttavia, non impediscono a nessuna delle parti di fare ancora affari milionari e andare avanti...

Ma quel che è peggio, e che regala di diritto la medaglia dell’ipocrisia ai vertici del calcio mondiale, è che Infantino (sì, proprio lui, figlio di lavoratori migranti che hanno vissuto in condizioni molto complicate in territorio elvetico) nulla dice di quel che sta accadendo in un’altra parte del mondo, nell’impenetrabile Iran. Non una parola sugli oppositori di Teheran, neppure un pensiero sulla repressione del regime di Teheran, sul sangue versato nelle piazze, sulle centinaia di morti (soprattutto ragazzi e ragazze) e sulle migliaia di arresti avvenuti dopo l’uccisione di Mahsa Amini che voleva semplicemente difendere i diritti delle donne, che in Iran non trovano cittadinanza e vengono vergognosamente calpestati tutti i giorni.

Ora che l’Iran è pronto a scendere in campo, tutti vorrebbero più pensare al pallone, vero. Però nelle ultime settimane non sono passate inosservate le parole di Ali Karimi (una volta soprannominato il Maradona d’Asia) che ha attaccato il regime ricevendo un mandato di cattura internazionale. Così come le esternazioni di Ali Daei, altro mito del calcio iraniano (109 gol in Nazionale) arrestato a fine ottobre per essersi schierato a favore di chi manifestava. Tutto ciò è avvenuto prima, durante e dopo la finale dell’International Cup, competizione internazionale seconda solo al Mondiale. Ma non è passata inosservata neppure quella frase che Sardar Azmoun, il 27enne attaccante iraniano del Bayer Leverkusen ha scritto su Instagram un suo primo lungo sfogo social seguito alla morte di Mahsa Amini ("Se vogliono tagliarmi dalla squadra è il sacrificio per una sola ciocca di capelli di una donna iraniana. Non è possibile che questo post venga cancellato. Vergognatevi per la facilità con cui uccidete le persone. Lunga vita alle donne iraniane"): "Essere cacciato dalla Nazionale sarebbe un piccolo prezzo da pagare anche solo per un capello delle donne iraniane". Il post è stato rimosso, vero, ma il ct Queiroz ha portato comunque il calciatore al Mondiale.

Ora c’è una nazionale spaccata, con parte della squadra pronta a rifiutarsi di cantare l’inno nazionale per protesta e quindi col serio rischio di essere punita al ritorno in patria. Ma tutto questo Infantino non lo dice. Meglio impartire lezioni di retorica al pianeta col suo finto tono melodrammatico. Perché dopotutto sono gli europei e i loro 3,000 anni di storia a doversi guardare allo specchio.