Messi da parte: capolinea Barça, Leo in fuga

La disfatta col Psg è un punto di non ritorno, l’addio dell’argentino pare scontato: ma chi può prenderlo? Il City di Pep in pole

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di Paolo Franci

In questo calcio rovesciato dal Grande Flagello, può succedere che il giocatore più ambito e ritenuto indispensabile per sbarcare su Marte – e cioè vincere la Champions – in una sola notte non sia più tale. Una, due, tre spallate sono bastate all ’ultimo eroe del pallone, Kylian Mbappè, per far sì che Leo Messi, da martedì notte, sia molto meno #leomessi. Possibile? Possibile.

Intanto, una domanda più che lecita emerge dal dopo Camp Nou, dove Leo potrebbe aver giocato l’ultima partita di Champions con il Barcellona. Davvero al Psg di Pochettino - che ha tra le mani il gran bel Neymar degli ultimi tempi e Mbappè che ha bisogno di scegliersi la zona di campo per devastare il nemico - può davvero servire Leo Messi?

Prendetela come provocazione. O paradosso. Però il rischio che il 34enne Messi finisca per inaridire Mbappè c’è eccome. Il pallone non è un gioco di figurine, ma di uomini, necessità, esigenze e anche certi narcisismi tattici.

Avere Messi significa non poter scendere a compromessi. E’ vero che lui dà tutto per la causa, ma deve farlo a modo suo. Scegliendo dove, come e quando muoversi sul campo. E’ la vecchia storia dei galli nel pollaio e a Parigi ce ne sono già in abbondanza. Quindi, svenarsi per lo stipendio di Messi – al Barça prende 70 milioni netti a stagione - sarebbe un buon affare? Certo, dal punto di vista commerciale e, soprattutto, col Mondiale del Qatar dietro l’angolo, per Nasser Al-Khelaïfi, numero uno del Psg attraverso la Qatar Sports Investments e di mille altre cose, presentarsi al Mondiale di casa con Neymar, Messi e Mbappè in tasca non sarebbe male. Pensate soltanto ai poderosi link per le attività di sponsorizzazione. Però, è fuor di dubbio che in una squadra già finalista di Champions e nel salotto buono d’Europa, ingaggiare Messi dal punto di vista tattico e di equilibri potrebbe essere azzardato. Esagerazione? E allora c’è Pep. Guardiola non ha mai rinunciatoall’idea di ricongiungersi con chi gli ha consentito di trasformare un’idea che sfiorava l’utopia in un potente mezzo per vincere e imporre un nuovo modo di fare calcio. Il Guardiolismo è fratello legittimo di Leo. E portare Leo in Inghilterra al City sarebbe la più naturale delle soluzioni. Eppoi, certo, c’è il Barça. Al club della sua vita, Leo rimprovera di aver commesso atrocità vere e proprie: come lo spendere per gente inutile come Coutinho, Arda Turan, Griezman e il disastroso Dembelè, trascurando il settore giovanile e facendo scappare via via quelli del perfetto meccanismo di Luis Enrique, da O’Ney a Suarez.

All’odiato ex presidente Bartomeu e ai dirigenti Leo rimprovera di essersi girati dall’altra parte quando era ormai chiaro l’inesorabile declino della dinastia blaugrana, culminato con l’8 a 2 incassato col Bayern e il 4-1 firmato Psg, guarda caso le due finaliste di Champions. Ora Leo, a 34 anni, deve decidere se restare. L’impegno messo in campo, sembra quello di uno che pensa solo al Camp Nou, anche se il tentativo di fuga della scorsa estate, il braccio di ferro e tutto il resto non li ha dimenticati nessuno. Molto dipenderà dalle elezioni presidenziali del 7 marzo. Se dovesse vincere Laporta, salirebbero le possibilità di rinnovo con lauto aumento del contratto siglato nel 2017 da 139 milioni lordi l’anno. Perchè, come dice Laporta stesso: "Leo genera più ricavi che costi". Ok, vero, ma è ancora l’uomo giusto per vincere?