Giovedì 18 Aprile 2024

Mercato, testa, gioco: lo scudetto di Conte

E’ l’artefice della svolta: ha retto nonostante le difficoltà del club, ha scelto gli uomini, rivoltato l’ambiente. " E’ la mia vittoria più difficile"

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di Giulio Mola

"Dedico lo scudetto a chi mi è stato vicino fuori dal campo: mia moglie, mia figlia, i fratelli. E poi voglio ringraziare Lele Oriali, è stata la persona che ha influito maggiormente in questi due anni". E’ anche da questi particolari che si capisce perché l’artefice del capolavoro nerazzurro ("un’opera d’arte",ipse dixit) debba essere per forza lui: Antonio Conte. Il Comandante. Uno come il tecnico salentino dovrebbe ormai essere abituato alle feste nazionali, invece fino a due giorni fa evocava con emozione certe notti insonni. E sabato a Crotone, alla faccia della scaramanzia, ballava felice come se fosse la sua prima volta. Ma questo è Antonio, l’uomo dei cinque scudetti in un decennio con tre squadre diverse. Ha martellato i giocatori partita dopo partita, non facendosi incantare dai titoloni di certa stampa improvvisamente diventata amica dopo i “Conteout” sbandierati all’indomani della dolorosa eliminazione dalla Champions ("E’ stato quello il momento della svolta, perché sono piovute critiche esagerate da tutte le parti che però sono servite a compattarci"). Anche quando il vantaggio in classifica assumeva la proporzione di una fuga solitaria da tappone alpino di una volta, l’allenatore invitava tutti con il solito imperativo categorico: "Testa bassa e pedalare".

"È uno tra i successi più importanti in carriera - ammette il tecnico -. Difficile perché comunque non era per me una scelta facile andare all’Inter, in un momento in cui non era attrezzata e competitiva per vincere qualcosa di importante. Ho accettato la sfida con grande voglia, portando il mio credo, un percorso di sacrifici, sudore e fatica. Spingendo tutti al limite. E siamo stati ripagati". In queste parole di Conte dopo il trionfo c’è la soddisfazione per aver interrotto il digiuno decennale dell’Inter. Tutto grazie alla sua feroce ambizione, quella di un 51enne uomo di calcio che vince da una vita. Il fatto poi che dopo una lunga attesa l’allenatore sia riuscito a rovesciare la dittatura bianconera non fa altro che ingigantire il valore di questa impresa. Perché oltre al lavoro sul campo, dall’incontro di Villa Bellini (fine agosto 2020) in poi il tecnico si è messo sulle spalle pure gli enormi problemi societari e le incognite finanziarie della proprietà. A memoria non si ricorda una squadra non percepire regolarmente gli stipendi e vincere uno scudetto o qualcosa di importante. Perciò a Conte e al gruppo va dato atto del grande attaccamento alla maglia.

Qui però va fatto un passo indietro di circa tre anni, e andare alle radici del successo. Perché nell’autunno 2018, Suning fece la cosa più intelligente da realizzare dopo il primo complicato periodo di ambientamento: copiare dai migliori. E quindi il colosso di Nanchino prese Beppe Marotta (appena scaricato dalla Juventus) il quale a sua volta convinse Conte. I due (insieme all’ottimo e silenzioso ds Piero Ausilio) hanno costruito uno spogliatoio granitico, l’allenatore poi ha plasmato la squadra a sua immagine e somiglianza, poche cose fatte bene e mostrate sui social, puntando sul “contismo”: cultura del lavoro, grinta, coraggio. E soprattutto infondendo la mentalità vincente. Nessuno slogan ammiccante sul calcio champagne o sul “guardiolismo”. Che poi, secondo gli esteti (o estetisti) del pallone, l’Inter del Comandante sia più o meno bella da vedere, è un discorso da bar che lascia il tempo che trova. Conte è poco simpatico (eufemismo) perfino ad alcuni tifosi interisti, ma non è solo un grande allenatore, è soprattutto motivatore favoloso. E ha stravinto. "Così siamo riusciti nell’impresa di far cadere un regno che durava da nove anni". Ogni riferimento alla Juve (non) è puramente casuale... Adesso resta da capire se il ciclo è appena iniziato...