Giovedì 18 Aprile 2024

Magni, i 100 anni di un mito fra Coppi e Bartali

Il 7 dicembre 1920 nasceva un campione capace anche di oscurare i due giganti: e da dirigente seppe poi ancora battere tutti

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di Angelo Costa

"Quei due mi hanno insegnato a lottare e a non dare mai nulla per scontato", raccontò un giorno Fiorenzo Magni, del quale oggi ricorre il centenario della nascita. Quei due si chiamavano Coppi e Bartali e lui per loro è stato davvero il terzo incomodo, perché li ha battuti spesso, oltre che volentieri. Alla storia è passato come il Terzo Uomo, in realtà è stato molte volte il primo, come ciclista e successivamente come manager, grazie a due qualità lasciate in eredità al suo sport: la tenacia e la visione profonda.

Della prima, spiega tutto una fotografia, diventata iconica: Magni che, in una tappa del Giro ’56 a Bologna, sale verso il Santuario di San Luca stringendo fra i denti un tubolare legato al manubrio. Poteva guidare solo così per via di una spalla rotta e a inventarsi quell’artificio fu il suo giovane meccanico, Ernesto Colnago, che già gli aveva risolto problemi di postura in bici. Quel Giro non solo Magni lo finì, ma lo chiuse al secondo posto, dopo averlo conquistato l’anno prima per la terza volta a 34 anni e mezzo, età che ancora oggi ne fa il vincitore più anziano di sempre.

Non è solo una fotografia, ma anche un albo d’oro a raccontare la tempra di Magni: è quello del Giro delle Fiandre, una delle classiche che vale una carriera. La vinse tre volte in fila tra il 1949 e il ’51, salendo in Belgio da solo in treno con la bici: impresa che gli valse l’appellativo di ‘leone’, il più adatto a uno che non si dava mai per vinto. E per non smentire la regola del numero perfetto, tre furono anche le sue maglie tricolori (e tre pure i trofei Baracchi e i giri del Piemonte) in una carriera che conta anche un secondo posto al mondiale e svariate tappe al Giro e al Tour, dove nel 1950 fu costretto a ritirarsi in maglia gialla quando la Nazionale italiana decise di tornarsene a casa per protesta contro l’aggressione del pubblico francese a Bartali sui Pirenei.

Al Magni che dettava legge sui pedali si affiancò presto un altro Magni vincente, quello che sapeva guardare avanti. Fin da quando correva: fu lui nel 1953, per salvare la propria squadra, a contattare un’azienda fuori dal ciclismo, inventando ciò che all’epoca ancora non esisteva, la sponsorizzazione sportiva. Non una semplice rivoluzione, ma una vera e propria svolta epocale, per quanto inizialmente mal gradita dalla federazione stessa: per la prima volta a sostenere una team era un finanziatore che col mondo della bici non c’entrava nulla, la Nivea.

Resterà questo il marchio di fabbrica di un uomo di successo che il ciclismo lo ha conosciuto tutto e lo ha attraversato in tutte le sue vesti: campione prima, poi direttore sportivo, ct della Nazionale, infine leader dei corridori e presidente di Lega.

Un vero ambasciatore, noto in tutto il mondo, che al suo sport ha regalato saggezza e felici intuizioni, oltre ad un Museo unico come quello realizzato in cima al Ghisallo, una delle salite storiche del ciclismo. Un uomo che fra tante fortune non ha avuto quella di poter vivere sempre nella terra d’origine: toscano di Vaiano, nel Pratese, se ne andò a Monza alla fine della seconda guerra, quasi un esilio volontario dopo esser stato processato e assolto per la morte di un partigiano durante la sua militanza fascista. "Fiorenzo aveva le sue idee, ma non ha mai fatto male a una mosca. Non ho fatto nulla di eroico, ho solo aiutato un fratello in difficoltà", racconterà l’ex ct Alfredo Martini, che in aula lo difese pur pensandola in maniera opposta in politica.

Attacchi e contrattacchi: è stato questo Fiorenzo Magni, scomparso nell’ottobre del 2012 alla soglia dei 92 anni. Vissuti con spirito illuminato e vivace, con la capacità di vedere le cose in anticipo. Uno che non ha mai smesso di spingersi in avanti e che, alla sua veneranda età, rifiutava l’etichetta di grande vecchio: "Non mi piace, preferisco uomo di grande esperienza che qualche esperienza deve ancora farla. Vecchi si diventa quando la testa si spegne, quando non si hanno più progetti e obiettivi da raggiungere. A volte mi sento meglio dei giovani, perché sono più ottimista di loro", diceva. Spiegando ancora molto di se stesso.