"L’Uefa ha fatto pressioni per farci giocare"

L’accusa di Schmeichel senior: "Danimarca senza possibilità di scelta, rinunciare alla gara sarebbe costato lo 0-3 a tavolino"

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di Paolo Grilli

Difficilmente i grandi fatti della cronaca e della storia – e la ‘rinascita’ di Eriksen a Copenaghen lo è – possono godere di una narrazione univoca, di una versione che metta d’accordo tutti.

Fatto salvo il lieto fine della storia, con il talento dell’Inter strappato alla morte sul campo di gioco, deflagra ora il caso sull’opportunità o meno di riprendere sabato scorso, nel giro di un’ora e mezzo, quel Danimarca-Finlandia segnata dal dramma del malore dell’idolo di casa.

E a entrare in tackle contro la Uefa – lui è stato un portiere fenomenale, ma se c’è da andare all’attacco non si tira mai indietro – è Peter Schmeichel, padre dell’attuale estremo difensore della nazionale, Kasper.

"È assolutamente ridicolo che la Uefa abbia trovato una soluzione del genere – ha detto Schmeichel Senior, campione d’Europa con la Danimarca nel 1992 –. Ho letto un’interessante affermazione della Uefa: diceva che i giocatori hanno insistito per giocare. Ma io so che questa non è la verità, o almeno è come loro vedono la verità. Ai giocatori sono state lasciate tre opzioni: giocare subito gli ultimi 50 minuti, finire la partita il giorno dopo a mezzogiorno oppure dare forfait e perdere 3-0. Davvero i calciatori avevano scelta? Non credo che l’avessero. E il ct il giorno dopo era veramente pentito".

Non solo il selezionatore Kasper Hjulmand, a mente fredda, ha rimpianto di aver acconsentito di fatto alla prosecuzione. Lo stesso Kasper Schmeichel, facendosi portavoce di tutti i compagni, ha detto ieri che i giocatori della Danimarca sono stati "messi in una posizione in cui non avrebbero dovuto metterci. Avevamo due opzioni, continuare la partita o tornare il giorno dopo a mezzogiorno, ma quello non era il momento per prendere quella decisione, e forse si doveva attendere fino all’indomani per decidere. Quel che è stato, è stato. E spero che loro imparino da questo episodio".

La Uefa non è potuta non intervenire ieri, ma nel ribadire che la decisione di proseguire la gara è stata presa dai giocatori, ha poi di fatto ammesso che non c’erano alternative. "La Uefa – si legge nel comunicato – è sicura di aver gestito la questione con estremo rispetto verso la delicata situazione e i calciatori. È stato deciso di ricominciare la partita solo dopo che le due squadre avevano richiesto di concluderla la sera stessa". Ma poi, "la necessità delle 48 ore di riposo per i giocatori fra un match e un altro ha eliminato ogni opzione".

Come dire: entro le 20 ore successive all’interruzione tutto andava in ogni caso concluso, pena la sconfitta a tavolino dei padroni di casa. Una spietata imposizione supportata e protetta dal regolamento. Senza idealismi, è chiaro che rimandare il match avrebbe sconvolto probabilmente i piani di tutto l’Europeo, manifestazione fitta di gare in coda a un’annata già intasatissima: con tutto quello che comporta a livello di copertura televisiva e di contratti commerciali a rischio. Ma cosa c’è stato di ordinario nel terribile episodio di sabato, tale da dover sottostare al gelido regolamento? La nazionale danese è stata doppiamente eroica nello scendere nuovamente in campo dopo la caduta nel dramma e la meravigliosa assistenza emotiva a Eriksen, ma davvero nessuno doveva pretendere in quel momento che il gioco tornasse più grande della vita.