L’Inter resta a terra, la Lazio ne approfitta

In vantaggio con Perisic e raggiunti da Immobile, nerazzurri arrabbiati per il 2-1 subito con Dimarco infortunato. Milinkovic-Savic chiude

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di Giulio Mola

Non basta all’Inter un’ora di ottimo calcio per evitare la più incredibile delle sconfitte. Cadono i nerazzurri all’Olimpico (3-1), ribaltati nella mezz’ora finale del match da una Lazio che dopo la rete di Perisic (rigore trasformato al minuto 11) aveva sofferto parecchio, ed è amarissimo il ritorno di Simone Inzaghi laddove ha trascorso gli ultimi quattro lustri della sua carriera: il tecnico è passato dallo striscione ("22 anni con i nostri colori non si dimenticano, grazie Simone") e dagli applausi che gli hanno riservato all’ingresso in campo i suoi ex tifosi ad un clamoroso tonfo (il primo in campionato) al termine di un match deciso dagli episodi e terminato fra polemiche, cartellini “gialli“, parole pesanti e una deprecabile caccia all’uomo terminata nel tunnel ben oltre i novantasette minuti di gioco.

Perché dopo il pareggio di Immobile (pure lui su rigore, ingenuo il tocco col braccio di Bastoni) al 18’ della ripresa, il veleno è arrivato nella coda. Al minuto ottantuno. Dimarco resta a terra dopo un contrasto, il gioco va avanti (anche Lautaro Martinez non si accorge di nulla e abbozza un contropiede) e i biancocelesti riconquistano palla con Felipe Anderson che innesca la ripartenza e dopo una prima conclusione di Immobile (respinta da Handanovic) realizza il 2-1, scatenando scene da far west, con gli interisti che accusano di antisportività il brasiliano che non si fermato nonostante Dimarco fosse a terra. Quattro cartellini gialli di Irrati non sono sufficienti per calmare gli animi, anche perché il terzo gol di Milinkovic-Savic in pieno recupero rende ancora più doloroso lo scivolone dei nerazzurri, innescando nuove micce. Dopo il fischio finale Luiz Felipe festeggia abbracciando l’ex compagno di squadra (e amico) Correa: l’argentino non la prende bene e reagisce, Luiz Felipe viene espulso e scoppia in lacrime continuando a spiegare che non era un gesto provocatorio.

"La verità è che per un’ora abbiamo fatto la migliore delle ultime partite, potevamo fare realizzare anche il secondo gol – chiarisce a caldo Simone Inzaghi –. Poi c’è stato quel rigore su calcio d’angolo su colpo di testa di Patric, dopo un secondo gol un po’ strano e abbiamo perso la testa. Questo non deve succedere, può capitare che l’arbitro non fischi e che l’avversario non metta palla fuori. Nel terzo gol, invece, Milinkovic-Savic era solo. Spiace, non ci voleva, andiamo avanti".

L’allenatore nerazzurro non cerca alibi, e questo gli fa onore. Piuttosto vorrebbe capire il perché del blackout finale, episodi a parte: "Quando hai davanti una squadra di qualità come la Lazio non devi farli tornare in partita. Per sessanta minuti abbiamo gestito bene il pallone, poi con squadre così può succedere di tutto. Noi ne abbiamo pagato le conseguenze. Mi chiedete se doveva essere Lautaro a buttare fuori la palla? Era di spalle, non vedeva cosa stava accadendo. L’arbitro poteva intervenire, ma ripeto, non mi soffermerei su questo. Una squadra come la nostra deve portare a casa un altro risultato".

Inzaghi può però consolarsi con la parte più bella del pomeriggio romano, l’accoglienza che gli hanno riservato i suoi ex tifosi. "Mi ha fatto molto piacere e li ringrazio davvero, ma il finale resta molto amaro. Nell’intervallo avevo detto ai ragazzi di ammazzare il match e non far tornare la Lazio in partita. Ora saranno due giorni di analisi...".

Vero. C’è la Champions alle porte per dimenticare la delusione di un sabato d’autunno. Ma l’allenatore vuol capire perché contro le grandi (era successo pure con l’Atalanta) qualcosa s’inceppa. Alla lunga l’impiego ridotto dei sudamericani si è fatto sentire, perché Lautaro Martinez e Correa sono entrati nel momento peggiore del match, però fino al gol dell’1-1 l’Inter aveva dominato in lungo e in largo, soprattutto in mediana con Barella e Brozovic. E la Lazio aveva concesso tanto sulle fasce, dove Dimarco sfondava senza trovare resistenza. La lezione può essere salutare. Difficile credere che la vera Inter sia quella dell’ultima mezzora.