L’integrazione della scherma

Doriano Rabotti

è chi parla, e chi fa. Sono stati in tanti, dopo le strepitose paralimpiadi degli azzurri, a riempirsi la bocca di belle parole, perché in Italia quando si tratta di correre in soccorso dei vincitori o di salire sul loro carro si formano code che neanche sull’Autosole a Ferragosto. In molti hanno parlato di integrazione, di parità dei diritti sportivi tra atleti diversamente abili e atleti normodotati, dell’opportunità di far svolgere in contemporanea i Giochi olimpici e paralimpici.

Bene, la Federscherma ha abbattuto il primo muro: a Tirrenia fino a venerdì si terranno allenamenti integrati tra gli azzurri che sognano Parigi 2024, in piedi o su una sedia a rotelle.

Un ritiro speciale riservato agli azzurri della spada, maschile e femminile. Sulle stesse pedane incroceranno le lame gli schermidori olimpici e quelli in carrozzina, agli ordini dei ct Dario Chiadò e Francesco Martinelli. In alcune società succedeva già, ora la federazione apre una collaborazione tra i gruppi d’élite che nelle prossime settimane toccherà anche fioretto e sciabola.

E sarà anche un’operazione d’immagine, per carità. Ma a noi sembra assolutamente certo che da una Bebe Vio, per fare il nome più illustre, possano imparare tanto i nostri aspiranti campioni che stanno cercando (con risultati incoraggianti, si direbbe) di riportare la scherma azzurra ai livelli che merita, dopo la delusione di Tokyo.

Basta metà della forza di Bebe, per puntare a una medaglia.