Giovedì 18 Aprile 2024

"La vita è come un ring, io unisco i mondi"

Il campione europeo Abbes Mouhiidine: "Papà veniva dal Marocco, ma sono italianissimo. Ero musulmano, ora cristiano per Carlotta"

di Doriano Rabotti

Aziz Abbes Mouhiidine ha 23 anni, la corona di campione europeo di pugilato intorno alla vita e una vita che regala fiducia. Perché i suoi guantoni, oltre a fruttargli medaglie, incoraggiano a credere in un’integrazione possibile. In lui convivono cromosomi, religioni e culture diverse, nel modo migliore: nessuna identità prevarica l’altra, insieme si arricchiscono.

Mouhiidine, partiamo dal titolo europeo: a distanza di qualche giorno che effetto fa?

"L’emozione è ancora tanta, sono ancora incredulo del risultato. E’ un piacere aver riportato quel titolo in Italia dopo 24 anni, ma è solo l’inizio. Punto a Parigi 2024, i miei progetti sono concentrati sulle Olimpiadi".

Intanto è in Lettonia, dove il campione del mondo professionisti Mairis Briedis l’ha chiamata come sparring.

"Sì, mi segue dai tempi in cui arrivai secondo ai mondiali di Belgrado, mi ha chiamato a Riga perché somiglio al suo avversario australiano, Jai Opetaia, contro il quale difenderà il titolo".

Abbes, il suo cognome tradisce origini nordafricane.

"Perché mio padre Abdullah era marocchino. Venne in Italia all’università di Perugia a 18 anni con una borsa di studio per frequentare Ingegneria. Un giorno andò a trovare un amico a Salerno e conobbe mia madre, che è di Mercato San Severino. Era il ’96, fu amore a prima vista, nel ‘98 sono nato io".

Suo padre era musulmano, sua madre è cattolica. Lei che scelta ha fatto?

"Mia madre Emiliana faceva la ragioniera, poi la mamma a tempo pieno, mentre mio padre dopo gli studi mise su una impresa edile. Oggi mio padre non c’è più, ma i suoi insegnamenti vivono dentro di me".

Ha subito episodi razzisti?

"Mai, nemmeno per scherzo. La mia è una famiglia di vera integrazione. Mio padre era musulmano, ma rispettava la cultura di mia madre cattolica. A casa si festeggiavano due Pasque. A 6 anni mi chiesero che cosa volevo scegliere, mio padre mi spiegò che il Dio è lo stesso, ha solo un nome diverso. Scelsi di diventare musulmano, e presi il battesimo islamico. Poi nel 2020 mi sono convertito al cristianesimo, anche per i progetti di matrimonio con Carlotta".

Ci arriviamo. Prima però le dobbiamo chiedere se si senta più italiano o marocchino.

"Io sono italianissimo al cento per cento, sono nato e cresciuto in Italia. Non parlo l’arabo, ma non rinnego le origini di mio padre. Per me è un vanto essere anche di origine marocchina, sono andato a trovare i parenti anche l’anno scorso".

C’è qualcosa del Marocco che cambierebbe? E dell’Italia...

"In ogni nazione e cultura ci saranno sempre persone che non danno il buon esempio. Mio padre è stato in Italia per 30 anni, e frequentava pochissimo quei marocchini che non si volevano integrare. Diceva: se non volete rispettare il paese che vi ospita, perché siete venuti qui?"

Come è arrivato alla boxe?

"Ho iniziato a fare karate a 4 anni, mia madre mi mandò nella speranza che mi stancassi perché ero iperattivo. Poi a 11 iniziai con la kick boxing, e a 12 col pugilato. A 17 anni ero campione italiano in tutti e tre gli sport, a 18 ho scelto la noble art".

Perché?

"Il ring è come la vita, devi reagire. Io mi sento un combattente, se cadi ti devi rialzare. Lì sopra mi sento a casa mia, sono libero".

Anche la sua ragazza è nazionale di pugilato. Vi siete conosciuti sul ring?

"In realtà con Carlotta (Paoletti, ndr) ci siamo trovati a un campionato Europeo, lì è scattato tutto. Stiamo insieme da 4 anni, conviviamo. Lei è di Ascoli Piceno".

Vi date consigli?

"Sì, quando ci alleniamo insieme, quei piccoli accorgimenti che una persona da fuori vede meglio. La mia fortuna è che lei capisce benissimo i miei sacrifici, l’alimentazione, la distanza. Lei è la mia forza e la mia salvezza".

Lei fa parte delle Fiamme Oro ed è entrato in Polizia.

"Era il mio sogno fin da bambino, indossare quella divisa. Potrei fare il poliziotto, quando smetterò".

C’è tempo.