Martedì 16 Aprile 2024

La grande utopia dell’infallibilità

Paolo Grilli

Appena fu chiamato in causa per la prima volta in A – Juve-Cagliari, agosto 2017 – il Var divenne per definizione “perfettibile”. Modo elegante per dire che l’assistente video dell’arbitro, a sua volta, cade spesso in errore: o magari nemmeno può intervenire, a termini di regolamento. Beffa e danno vanno così a braccetto. Nulla ha potuto domenica, il Var, dopo che Orsato aveva assegnato il rigore alla Roma con la reattività di un Jacobs. Il penalty c’era – decisione quindi corretta – ma il vantaggio non è stato concesso e lo zelo frettoloso ha portato quindi ad annullare il successivo gol di Abraham.

Non c’è weekend che non si scateni una polemica arbitrale. Si sbaglia tanto sul campo quanto nell’empirea sala dei televisori. L’azzeramento degli errori che il grande fratello buono del calcio avrebbe dovuto garantire ha assunto da tempo i contorni della chimera. Il paradosso è evidente, persino spietato: anche riguardando all’infinito da casa certe azioni dubbie catturate da mille telecamere, spesso non si riesce ad arrivare a una valutazione oggettiva dell’episodio. Senza contare che la visione in due dimensioni – e l’alta definizione può poco – non potrà essere mai tanto fedele alla realtà quanto quella in 3D degli occhi dell’arbitro. A proposito: quanti, nelle stesse condizioni di Orsato, avrebbero davvero evitato di fischiare subito dopo il fallo palese di Szczesny?