Sabato 20 Aprile 2024

La "corsa della morte" fa altre tre vittime

Tourist Trophy, dopo il gallese Purslow e il francese Lavorel anche l’esperto nordirlandese Morgan muore in una gara ormai assurda

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di Doriano Rabotti

Soltanto il Covid era riuscito a fermare la ’corsa della morte’. Ma oggi il Tourist Trophy è tornato ad aggiornare il triste elenco delle vittime: ieri sono salite a 264, quando gli organizzatori hanno dato la notizia della scomparsa di Davy Morgan. Aveva 52 anni, veniva dall’Irlanda del Nord ed era un veterano da ottanta partecipazioni, tra le varie categorie, alla corsa che si tiene dal 1907 sull’Isola di Man, nel mare d’Irlanda. Prima di lui, nei giorni scorsi, erano morti il francese Olivier Lavorel, 35 anni, al debutto nella gara su un sidecar, e il gallese Mark Purslow che aveva solo 29 anni e sul suo profilo twitter aveva scritto di voler “provare a vivere il sogno“.

Il sogno che aveva è una corsa fuori dal tempo e dalla logica, che proprio per questo esercita la sua forza di seduzione mortale. Perché è unica al mondo, perché è aperta a piloti di ogni livello, dai professionisti ai dilettanti che con trentamila euro possono noleggiare moto e meccanico, e iscriversi per fare il giro a cronometro (non si parte insieme, ma distanziati). Nei paesi britannici le corse stradali hanno una tradizione, da noi qualche appassionato lo fa sulle piste ufficiali, solo che quello del Tourist Trophy non è un circuito: è una strada per l’inferno, per chi non è preparato, ma anche per i più esperti.

Sui 60,5 km del percorso stradale che passa tra muretti, case nuove e vecchie, alberi e buche, tombini, rotonde e marciapiedi, ogni anno qualcuno ci lascia la pelle.

Per noi comuni mortali è impossibile capire come mai centinaia di persone ogni anno, su moto di varie cilindrate e sidecar siano pronte a rischiare la vita per vincere questa corsa o anche solo per finirla. Ma il punto è proprio questo, come sa benissimo chi frequenta il mondo delle corse: la testa dei ’piloti’ funziona in modo diverso da quella delle persone normali, altrimenti non scenderebbero in pista, non potrebbero spingersi a certe velocità.

Esattamente cinquanta anni fa sulla serie di curve chiamata Verandah perse la vita Gilberto Parlotti, e da allora qualcosa cambiò perché molti campioni ’professionisti’, a cominciare dal nostro Giacomo Agostini, decisero di non presentarsi più al TT.

’Ago’ ci portò Valentino Rossi nel 2009, lui davanti con una Mv Agusta, Vale dietro con una Yamaha (il TT è un feudo dell’Honda). Per il Dottore quel giro fu abbastanza, ma le sue parole rendono il concetto perfettamente: "Speravo che Ago si ricordasse le curve, mi sono imposto di andare piano. Ma ho capito la magia dell’Isola di Man perché tutte le persone che ci guardavano avevano una cosa in comune, lo sguardo del pazzo. Il tracciato è fantastico, l’atmosfera è unica, entri in una dimensione differente. Ti rendi conto che il TT appartiene alla storia".

Un altro asso del passato, Walter Villa, raccontava che il più vincente nella storia del TT, Joey Dunlop, passava ai 200 all’ora nei banchi di nebbia improvvisi, quando gli altri andavano al massimo ai cinquanta. Dunlop è il recordman di vittorie, con 26 trionfi, davanti a McGuinness che ne ha vinti 23 e ha visto morire tanti amici, su quell’asfalto. Qualche giorno fa McGuinness ha definito il Gp di F1 di Monaco come “facile“. Tra i concorrenti c‘è anche Michael Dunlop, nipote di Joey, figlio di Robert e fratello di William: tutti e tre sono morti nel TT, ma Michael continua imperterrito e a 33 anni è già uno dei più titolati. Come Peter Hickman, che ha vinto cinque volte ed è il più veloce di sempre: nel 2018 ha completato il giro in 16 minuti e 42,7 secondi a una velocità media di 218 kmh. In macchina ce ne vogliono 55, di minuti, per fare tutto il giro.

Ci vuole un secondo invece per capire il messaggio che accoglie gli iscritti alla corsa: "Se non vi piacciono le nostre regole, c’è una nave per tornare indietro ogni mezz’ora".