di Doriano Rabotti Soltanto il Covid era riuscito a fermare la ’corsa della morte’. Ma oggi il Tourist Trophy è tornato ad aggiornare il triste elenco delle vittime: ieri sono salite a 264, quando gli organizzatori hanno dato la notizia della scomparsa di Davy Morgan. Aveva 52 anni, veniva dall’Irlanda del Nord ed era un veterano da ottanta partecipazioni, tra le varie categorie, alla corsa che si tiene dal 1907 sull’Isola di Man, nel mare d’Irlanda. Prima di lui, nei giorni scorsi, erano morti il francese Olivier Lavorel, 35 anni, al debutto nella gara su un sidecar, e il gallese Mark Purslow che aveva solo 29 anni e sul suo profilo twitter aveva scritto di voler “provare a vivere il sogno“. Il sogno che aveva è una corsa fuori dal tempo e dalla logica, che proprio per questo esercita la sua forza di seduzione mortale. Perché è unica al mondo, perché è aperta a piloti di ogni livello, dai professionisti ai dilettanti che con trentamila euro possono noleggiare moto e meccanico, e iscriversi per fare il giro a cronometro (non si parte insieme, ma distanziati). Nei paesi britannici le corse stradali hanno una tradizione, da noi qualche appassionato lo fa sulle piste ufficiali, solo che quello del Tourist Trophy non è un circuito: è una strada per l’inferno, per chi non è preparato, ma anche per i più esperti. Sui 60,5 km del percorso stradale che passa tra muretti, case nuove e vecchie, alberi e buche, tombini, rotonde e marciapiedi, ogni anno qualcuno ci lascia la pelle. Per noi comuni mortali è impossibile capire come mai centinaia di persone ogni anno, su moto di varie cilindrate e sidecar siano pronte a rischiare la vita per vincere questa corsa o anche solo per finirla. Ma il punto è proprio questo, come sa benissimo chi ...
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