"L’Asl conta più dei giudici del calcio" Così il Coni ha ribaltato Juve-Napoli

No, il Napoli non era in malafede. E, no, il calcio non può sentirsi al di sopra di tutto. Poi, la bacchettata al giudice sportivo e alla Corte federale d’appello per non aver considerato "il criterio della gerarchia delle fonti". E cioè che quel che dice la Asl è sovrano rispetto al pallone. Punto. Eccole, in sintesi, le motivazioni dei giudici del Coni che hanno portato al ribaltone di Juve-Napoli e alla cancellazione dello 0-3 a tavolino.

A prescindere, la sensazione del pasticcio resta viva. Cioè: se esiste un protocollo deciso dal governo con il mondo del calcio per far sopravvivere il campionato, a che serve se una partita può essere fermata da una Asl per due soli positivi (il Napoli aveva Elmas e Zielinski)? Se fosse così semplice, quante partite non si sarebbero giocate fin qui? E cosa dovrebbero dire alla Casertana costretta a giocare in 9 con 15 positivi? E perchè in quel caso le Asl campane non sono intervenute? A maggior ragione considerando che tre dei giocatori impiegati dalla Casertana sono poi risultati positivi?

Che poi tra le pieghe giuridiche il Napoli abbia le sue ragioni questa è altro aspetto, strettamente tecnico-giuridico. Nelle motivazioni si legge che il protocollo che il Napoli avrebbe dovuto rispettare: "rimandava alla circolare della Salute del 18 giugno 2020 e, dunque, all’esclusiva competenza della Asl territorialmente competente".

Secondo i giudici, dunque, la normativa federale "cede" di fronte all’atto superiore dell’Asl. Quindi il Napoli "Ha agito senza malafede e in piena coerenza". D’accordo, ma la domanda è d’obbligo: allora cts e governo del pallone i protocolli che li hanno scritti a fare?

Paolo Franci