Mercoledì 24 Aprile 2024

Juve, resterà Allegri per 60 milioni di motivi

Max non ha saputo dare la svolta: ma il suo ingaggio fino al 2025 blocca ogni cambiamento in panchina. Signora in ritiro fino a sabato

Migration

di Paolo Grilli

Il maggior ostacolo per una Juve che ora vorrebbe solo rinascere dopo la discesa agli inferi della mezza classifica è proprio la sua grandezza. Non quella sportiva – il blasone costruito in 124 anni esce giusto un po’ ammaccato dopo le ultime desolanti prestazioni – ma quella dei bilanci.

Se quello bianconero fosse un club come tanti altri, sarebbe probabilmente più agevole una rimozione generale delle figure che non si sono rivelate funzionali al progetto di vittorie, il solo a ottenere per definizione l’approvazione della Continassa. E invece gli ingaggi stellari che contribuiscono a definire il privilegio di lavorare per la Signora sono ora il più classico dei boomerang, la più emblematica delle zavorre verso il rinnovamento vero.

Si prenda Allegri, riportato a Torino quasi a furor di popolo dopo le pindariche esperienze di Sarri e Pirlo (che pure avevano portato a uno scudetto, a una Supercoppa e a una Coppa Italia). Max pesa sulle casse bianconere per almeno 15 milioni all’anno al lordo delle tasse (7 è l’ingaggio netto aumentabile a 9 in caso di determinati risultati): fino al 2025 fanno 60 milioni di spesa nel prossimo quadriennio per la Signora, che si ritrova con le mani legate essendosi riaffidata ciecamente al condottiero già capace di portarle in bacheca cinque scudetti e 4 Coppe Italia oltre a due Supercoppe.

Non è stata questa forse un’operazione troppo ardita sul piano dei conti, ancora in piena era Covid, proprio mentre si profilavano un rosso di bilancio superiore ai 200 milioni e un maxi aumento di capitale da 400 varato con il solo scopo di dare respiro al club?

Da oggi la squadra è in ritiro e lo sarà fino a sabato, giorno della gara contro la Fiorentina. Domani, come intermezzo, la sfida casalinga di Champions contro lo Zenit che potrebbe servire lo zuccherino del pass agli ottavi. Difficile capire dove possa arrivare in Europa questa squadra che un piccolo capolavoro tattico l’ha pure confezionato – la vittoria col Chelsea – ma che soffre terribilmente tra i propri confini. Il Verona che sabato l’ha stesa con merito (a proposito: il monte ingaggi dell’Hellas è un decimo di quello bianconero, 24 milioni lordi contro 236...) ha evidenziato in 90 minuti e rotti tutto quello che non va. La scarsa capacità offensiva (15 gol, solo sei squadre hanno fatto peggio!), la nuova perforabilità (15 gol presi, è l’undicesima difesa di A), una paralizzante mancanza di idee quando si tratta di fare la partita. Le cinque gare tra campionato e coppa vinte 1-0 erano state, col senno di poi, il pannicello caldo su una corazzata indebolita e quasi irriconoscibile, sostanzialmente impossibilitata a giocare il calcio sfrontato che ha dominato l’ultimo biennio. Quello che non concede chance alla speculazione e che fa dell’intensità l’unico crisma.

Al Bentegodi la Signora è andata subito in affanno, solo nella ripresa si è rivista con costrutto nella metà campo avversaria. E se non fosse stato per Dybala, quasi nulla sarebbe stato da vera Juve. Non è mancato l’atteggiamento giusto, ciò che sarebbe recuperabile con sforzo relativo: ha latitato del tutto la qualità. Sarebbe già sorprendente vedere i bianconeri fuori dai giochi quando ci si toglie il cappotto a inizio primavera: ma ora lo sono quasi e il freddo deve ancora arrivare: un vero dramma sportivo.

Max lo stratega è ora costretto a reinventarsi, posto che Agnelli, per le note ragioni, dovrà tenerlo stretto a sé fino al 2025. E intanto a gennaio potrebbero partire Kulusevski e McKennie, gli unici ad avere davvero mercato visti gli ingaggi faraonici di quasi tutti i colleghi più attempati. Le rivoluzioni logorano chi non le fa, o non riesce a farle.