dall’inviato Leo Turrini "Ho parlato con i miei bambini e gliel’ho detto: l’anno prossimo papà si sposa. Il record del mondo? Eh, piano, facciamo un passo alla volta. Tamberi? Io ho aiutato lui, lui ha aiutato me..." La nuova vita di Marcellino pane vino è cominciata quando ancora la vecchia non era finita. Effetto di una vittoria venuta a cambiare la vita di questo giovanotto. Un proiettile azzurro conficcato nel cuore dell’Olimpiade. Vincendo la gara più popolare, Jacobs è entrato in una dimensione diversa. Per sempre. In tribuna. Tra un festeggiamento e una telefonata di un interlocutore illustre, tra una dichiarazione e una promessa di un autografo, Marcellino ha disperatamente cercato di restare agganciato a quello che invece ormai è il suo passato. Così, nella mattinata del lunedì giapponese, dopo aver passato in bianco la notte, Jacobs è tornato nello stadio dei sogni. "Volevo fare il tifo per il mio amico Randazzo, il lunghista – ha spiegato il campione dei cinque cerchi – io credo molto nella condivisione. Quando sono tornato al villaggio olimpico, ho voluto ringraziare pubblicamente tutti gli atleti, maschi e femmine, della spedizione azzurra. Nei giorni che portavano alla gara, ho sentito la loro energia. Non ho mai avvertito la solitudine. Quello che ho fatto, l’ho potuto fare grazie anche a questa straordinaria testimonianza di affetto collettivo". Il gruppo. Possono sembrare parole di circostanza, dettate dall’euforia. Eppure, chi sta vicino a Marcellino pane vino non nasconde che questo è stato, sempre, l’atteggiamento di Jacobs, anche quando era un aspirante campione. Quindi non stupisce che, tra le tonnellate di esternazioni che hanno accompagnato l’impresa, il velocista abbia voluto sottolineare come per lui l’Olimpiade non sia ancora conclusa. "Debbo stare attento a non esagerare con i festeggiamenti. Infatti, dobbiamo ancora disputare la staffetta veloce. Sono convinto che con me, con Tortu e con gli altri ...
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