Giovedì 18 Aprile 2024

Inter, peccato capitale: così è -3 dalla vetta

A Roma ribalta i giallorossi, va in vantaggio e spreca con Vidal una grande occasione: il pari finale brucia. E domenica c’è la Juve

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di Paolo Franci

Puoi girarla quanto vuoi, Roma-Inter. Cambiargli cornice e colore, quasi fosse un affresco del pallone. Divertente, anche. Ma la sensazione che l’Inter abbia buttato via una vittoria che doveva e poteva arrivare, alla resa dei conti, restà lì, viva. Palpabile e inscalfibile. Poi ci sono gli alibi, quanto efficaci non si sa, che possono cambiare sostanza e sfumature, ma dall’Olimpico si esce con la certezza dell’incerto. Un paradosso per dire che a questa squadra manca una caratteristica fondamentale per chi punta allo scudetto: il morso letale. E questo, nonostante ’Quel’ Lukaku. Sì, con la maiuscola. Cioè: buttare tutte quelle occasioni sul 2-1 per chiuderla, specchiandosi anche nel ’bello’, inteso come gesto tecnico, ’velo’ o giocata per un pubblico che non c’è, alla fine è un vezzo che si paga. Eppoi, tornando all’ormai sepolto polemicone tra Capello e Conte di un mese fa, se il ’Piano B’ che secondo Don Fabio l’Inter non avrebbe, è quello messo in scena con quei cambi nella ripresa, beh, allora meglio non averlo.

Partiamo però da Lukaku, giocatore immenso. Universale, quasi un ’traditore’ della sua specie, quella che fa rima con gol. Tanti gol. Perchè raramente si vede un centravanti così bravo sotto porta giocare così tanto al servizio dei compagni. C’è un’immagine che colpisce di Roma-Inter e disegna tutta la differenza sul perchè i calciatori sono tutti uguali ma Lukaku lo è un po’ di più. Skriniar ha appena segnato il gol del pari e via col mucchio selvaggio tra urla e gioia vicino alla linea del fallo laterale. Tutti meno lui, Lukaku, che con il pallone in mano corre verso il centrocampo. Da solo. Si volta a guardare i compagni e li richiama a brutto muso, cercando di accorciare il tempo della ripresa. Eccola, la differenza: appena segnato il gol del pari, lui pensa solo a vincere, gli altri no.

Per farlo però, bisognava andare oltre la Roma dei primi venti minuti tatticamente scintillante. L’Inter del primo tempo, non solo è finita sotto per una palla persa dallo stanco Barella trasformata in oro dalla Roma, ma ha anche rischiato il bis di Veretout. Il tutto con una maligna sensazione nella testa e nelle gambe: quando sarebbe affiorata la stanchezza per la battaglia nel fango di Marassi?

Però è anche vero che da metà primo tempo in poi, l’Inter ha comandato il gioco. Troppo spesso però, tende a rifugiarsi nella palla lunga per Lukaku che la protegge, la stoppa e apre al compagno. Storia nota che alla fine diventa prevedibile. Detto che, quando si fa male Darmian ed entra Young, il primo cambio di Conte - non voluto ovviamente - è quasi una manna dal cielo perchè Ashley è in palla e dalla sua parte si costruirà bene e molto.

Young sarà una delle scintille che nel secondo tempo darà vita al corto circuito nel quale finirà la Roma. Un assedio che produrrà occasioni in serie e un miracolo pazzesco di Pau Lopez su Lautaro prima del gol di Skriniar e della genialata di Hakimi. E qui, succedono tre cose: l’Inter spreca troppe occasioni per chiuderla; arriva la stanchezza della battaglia di Marassi e – Fonseca, invece, gli aveva dato di turn over e s’è visto... - come se non bastasse i cambi sono un assist per la Roma. Perisic al posto di Lautaro è invisibile e invece di far alzare la squadra, la abbassa. Poi, Gagliardini per Vidal acciaccato era obbligato, vero, ma perchè mai Kolarov per uno dei migliori della partita, Hakimi? La mossa si concretizza con lo spostamento di Young a destra e il serbo a sinistra. Risultato: dalla parte di Kolarov la Roma farà più o meno quel che vuole ed è proprio da lì che nel finale Villar, uno dei migliori della Roma, piazzerà il cross per lo straordinario colpo di testa di Mancini che chiude il conto. E, mentre Pioli sogghigna sul divano di casa, Conte recrimina e Fonseca manca l’ennesimo appuntamento con la vittoria in uno scontro diretto.