Leo Turrini
Sarebbe bello, sì. Per quanto improbabile, rimbalza dalla Austria, dove oggi la F1 torna in pista, l’ipotesi che in extremis anche Imola, dopo il Mugello, possa fare compagnia a Monza nel calendario iridato del 2020. E perché no? Ho già detto che è una cosa difficile da realizzare, eppure la autocandidatura del circuito che Enzo Ferrari volle definire "un piccolo Nurburgring", beh, esiste e resiste mentre la pandemia allontana dai radar le gare in Brasile, Messico, Canada, Stati Uniti e Cina. Complicando il lavoro degli organizzatori del campionato. Vedremo e vedrete. Di sicuro, al netto di qualunque illusione, Imola rappresenta qualcosa di unico, nel giurassico parco della memoria corsaiola. Il dolore per le tragedie di Senna e Ratzenberger nel 1994 rimane indelebile, ci sono ferite che non si rimarginano.
Ma Imola non è solo rimpianto. Imola, per un periodo lungo oltre un quarto di secolo, dal 1980 al 2006, fu la versione a trecento all’ora di un concerto di Vasco Rossi. Da Villeneuve padre a Villeneuve figlio, passando per Prost e Alonso, per Mansell e Piquet, per Alboreto e Piquet senior, il tracciato intitolato a Enzo e Dino Ferrari ha acceso fantasie, dilatato sogni, ingigantito emozioni.
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