Giovedì 18 Aprile 2024

"Il nostro calcio libero, tra storia e passione"

La Conifa raduna le ’nazionali’ di territori con un’identità, ma senza istituzioni: dalla Padania agli Aborigeni ai Sinti, nel segno del pallone

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di Doriano Rabotti

Contro il logorio del calcio moderno, la soluzione è la Superlega dei piccoli. Non poveri, perché il problema delle nazionali che aderiscono alla Conifa non è tanto economico, quanto politico nel senso migliore, della vita quotidiana.

Anche se ’politica’ è una parola bandita da questa piccola Onu etnico-culturale dello sport, che raduna paesi che non esistono più o non sono esistiti mai, nel senso istituzionale del termine. Quanto allo spirito identitario, invece, quello è spesso più forte dei paesi ’ufficiali’.

La Conifa raduna le nazionali che non aderiscono alla Fifa (con la quale i rapporti sono ottimi), ma sentono di avere un senso di comunità molto sviluppato. Le ’italiane’ sono la Padania, Sicilia e Sardegna, l’Isola d’Elba, ma anche il Regno delle Due Sicilie perché le squadre esprimono identità a volte di radicamento storico e non più geografico. Nel mondo sono 52, rappresentano 700 milioni di persone, e nell’ultimo weekend si sono ritrovate a Sabbioneta, Mantova, per pianificare il futuro. Anche immediato: a maggio a Johannesburg si terrà la coppa d’Africa, in giugno gli Europei a Nizza e i mondiali femminili in Tibet. A Sabbioneta sono state gettate le basi per arrivare nel 2024 al campionato europeo per club, al quale accederanno squadre uscite dai tornei ’locali’: "Stiamo lavorando per avere una partecipazione vasta, la Padania per esempio non ha ancora un suo campionato che esprima un club", spiega Alberto Rischio, ’padano’ di Abbiategrasso, presidente della Conifa Europa, diciamo l’equivalente della Uefa.

"Io sono un tifoso della Juve, ma soprattutto della Rhodense, squadra milanese per la quale sicuramente i miei 10 euro per un biglietto valgono più dei 45 che pago alla Juve". E’ un punto importante, questo, perché la spinta ’autonomista’ delle squadre della Conifa è molto più sportiva che politica. In passato qualche problemino di rapporti tra team di paesi divisi dalla storia c’è stato: come quando le camere d’albergo della squadra di Cipro del Nord furono bruciate in Kurdistan, nel 2012. Ma è un caso isolato: "In realtà le nostre rivalità rimangono sempre nel confine dello sport, a me per esempio non è piaciuto quando la mia Padania ha dato 20 gol a zero al Darfur, e poi nella gara successiva l’Ossezia del Sud gliene ha dati 19...".

La Padania è anche la squadra in cui ha militato il giocatore più famoso di squadre che solitamente contano su atleti di serie D o Eccellenza, per fare un paragone con il livello in Italia: Marius Stankevicius, nazionale lituano, visto con le maglie di Brescia, Cosenza, Sampdoria, Lazio e Crema. E la Padania ha ricevuto in passato qualche consiglio tecnico da Maurizio Ganz, ex giocatore di serie A, "anche se non è mai stato il nostro allenatore, come fu scritto all’epoca", racconta Rischio.

Al di là delle opinioni personali sui risvolti politici, quella della Conifa è una bella storia di identità collettiva. Perché di fianco all’Isola di Man e alla Contea di Nizza, all’Occitania e all’Ossezia del Sud, al Donbass oggi inattivo per motivi più importanti come la guerra, convivono le squadre dei Rom e degli indios Mapuche, degli aborigeni australiani e del Biafra, di Rapa Nui, del Tamil e del Tibet: "Noi siamo tutti volontari, uniti dalla passione per il calcio e dalla voglia di uno sport diverso da quello che ci viene proposto, più a misura d’uomo".

E’ una risposta alla globalizzazione calcistica, anche se il campionato della Groenlandia (dove esistono dieci squadre...) ha per sponsor la Coca-Cola.

Che, così a occhio, ha capito subito la portata del movimento.