Giovedì 25 Aprile 2024

Ibracadabra, una magìa lunga 40 anni

Domani Ibrahimovic taglia un traguardo storico: a parte i portieri, solo 8 giocatori erano ancora in campo in serie A alla sua età

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di Giulio Mola

Il ragazzino venuto da Rosengard, malfamato quartiere di Malmoe, domani diventa davvero grandicello, perché quando tagli il traguardo dei 40 è la vita che ti cambia. Ma da uno come Ibrahimovic devi aspettarti di tutto, anche che continui perennemente a prenderti in giro con le smorfie da cartoni animati o che ti affronti con sguardi minacciosi da spaccone di quartiere. Perché è fatto così il totem svedese, rumoroso in campo e silenzioso fuori (soprattutto quando è impegnato nel sociale). Il Dio Zlatan, come lui stesso, narciso e dissacrante, ama definirsi. O più semplicemente Ibracadabra, ossimoro di un cognome che spaventa e delle magie esibite sul campo.

L’Highlander dunque si prepara a spegnere le quaranta candeline, ma nonostante l’età e l’egocentrismo che a volte sconfina nell’antipatia resta uno dei calciatori più apprezzati, un fuoriclasse senza età che ha sempre voglia di stupire. E’ raro trovare oggi giocatori Over 40 a livello professionistico (in Serie A più “anziano“ di Ibrahimovic c’è solo Gianluca Pegolo, portiere del Sassuolo, nato il 25 marzo 1981): e infatti, togliendo i portieri (da Ballotta a Pavarini, passando per Balli, Buffon, Antonioli, Zoff e altri), solo altri 8 campioni hanno giocato nella massima serie a quarant’anni suonati (Maldini e Totti, Costacurta e Javier Zanetti, Piola a Reguzzoni, Vierchowod e Pellissier).

Vero, negli ultimi due anni anche Zlatan ha avuto i suoi acciacchi, ma dopo l’intervento al ginocchio della scorsa estate si è rimesso in piedi col solito entusiasmo. Perché Ibra “le phisique du rôle“ ce l’ha da sempre: vita sana, arti marziali, impegno, dedizione al lavoro. Niente vizi e zero gossip, fedelissimo alla connazionale Helena da cui ha avuto due figli. Lavoro-campo, campo-lavoro. "Le scarpe da calcio non fanno la differenza. I piedi fanno la differenza" scriveva tre settimane fa sui “social“ all’indomani del suo ultimo gol segnato in campionato (alla Lazio) prima del nuovo stop che gli farà saltare anche la convocazione in Nazionale.

Perciò Ibrahimovic è tanto amato dai tifosi della squadra in cui gioca, quanto detestato dai suoi ex supporter e dai rivali (la “colorita“ lite con Lukaku nel derby di Coppa Italia a inizio anno se la ricordano tutti) e da chi lo considera un arrogante. Ibra è così, come recita uno dei suoi tanti tatuaggi: solo Dio può giudicarlo. Intanto lui continua a sentirsi il più forte e con le ambizioni di un vincente (lo presero per matto quando, al suo ritorno al Milan, disse che il suo obiettivo era lo scudetto), di certo non ci sono sfide che lo intimoriscono. Anzi. Uno come lui ha sempre cercato di elevare anche il rendimento dei compagni. Lo dimostra il fatto che a gennaio 2020, dopo una carriera strabiliante, due anni in America e un irriverente saluto ai tifosi dei Galaxy di Los Angeles ("Ora potete tornare a seguire il baseball"), ha accettato l’ennesima sfida, tornare in rossonero con una squadra ben diversa da quella che aveva lasciato nel 2012. Da vero leader ha preso i compagni per mano riportandoli nella nobiltà del calcio europeo. Del resto il suo palmarès parla chiaro, dopo aver giocato nei club più prestigiosi (dall’Ajax alla Juventus, dall’Inter al Barcellona, dallo United al Psg): undici titoli nazionali vinti (e due revocati), diciassette coppe e supercoppe alzate, un’Europa League, una Supercoppa europea ed un Mondiale per club ad impreziosire la bacheca. Con indimenticabili magie nei 20 anni con la Nazionale svedese: la rete realizzata all’Italia e a Buffon, all’Europeo 2004 (il famoso tocco dello scorpione). Oppure l’incredibile rovesciata da metà campo, con le spalle alla porta, per il 4-2 all’Inghilterra. Due soli i rimpianti: non aver mai vinto la Champions League, né il Pallone d’oro.

Un fenomeno in campo ma pure fuori, Zlatan, che ci sia un pallone o un microfono quasi non importa, perché lui resta sempre diretto e spontaneo, senza il timore del “politically correct“. Così la stella splende anche in tv: memorabile la sua presenza all’ultimo Festival di Sanremo con l’amico Mihajlovic. Lui un vagabondo, sa di esserlo. Ma Zlatan è Zlatan: "Io sono Dio". Affermazione forte. Resta da capire cosa farà da grande. Di certo i suoi primi 40 anni sono stati vissuti meravigliosamente...