Giovanni Ricci: "Mio padre, ucciso in via Fani. Moro ci disse: siate onesti come lui"

Il figlio dell'appuntato Domenico Ricci che guidava l'auto dello statista

Domenico Ricci, il carabiniere che guidava la Fiat con a bordo Aldo Moro

Domenico Ricci, il carabiniere che guidava la Fiat con a bordo Aldo Moro

"Mi raccomando, siate sempre bravi e onesti come lo è il vostro papà". 

Aldo Moro ai figli dell'appuntato Domenico Ricci

Roma, 14 marzo 2018 - Quella notte, nel tumefatto buio del 16 marzo ’78, l’orologio Zenith non c’era più sul comodino. Era stato l’unico capriccio dell’appuntato Ricci. Ricci Domenico. Che se l’era comprato a suon di piccoli sacrifici. Tutte le sere, il gesto era un affettuoso rituale come la carezza della buonanotte ai figlioli: l’appoggiava accanto al letto e poi lo ricaricava. No, la mattina dopo nessuno l’avrebbe ricaricato. Perché era stato scaricato a suon di mitragliate. Sull’asfalto. 'A via Fani', come dicono a Roma. In quelle idi di marzo in cui fu massacrata la scorta del presidente della Dc, Aldo Moro. Domenico Ricci, da San Paolo di Jesi, classe ’34, era al volante della Fiat 130 presidenziale. Era uno dei suoi. Di più: uno dei suoi uomini. Perché l’umanità vibrava in quelle scatole metalliche mentre i mitra attendevano di vomitare fuoco. Giovanni Ricci, figlio di Domenico, avrebbe spento dodici candeline non moltissimi giorni dopo. E non avrebbe più sentito il ronzìo delle lancette dello Zenith.

Nella foto Giovanni Ricci

Giovanni Ricci, figlio di Domenico

Giovanni, che cosa stava facendo quella maledetta mattina?

"Ero a casa perché, allora, con i tanti alunni che c’erano nelle scuole, in classe si facevano i doppi turni. Sarei andato a lezione alle 14".

Ma...

"Ma poi, verso le 9.30, 9.40, mia madre viene chiamata da un’amica. Che le chiede: ‘Dov’è Domenico?’. Di lì a poco, la casa s’è riempita di gente. Mia mamma capì...".

E lei?

"Io corsi dalla mamma. Le dissi: ‘Ho riconosciuto papà dall’orologio’. E lui era lì, con il lenzuolo sopra. Uno choc terribile".

Ma lei vide il corpo di suo padre?

"Il pomeriggio, qualcuno lasciò inavvertitamente la copia d’una edizione straordinaria d’un giornale a casa. Vidi il corpo del babbo crivellato dai proiettili".

Quando ha parlato, l’ultima volta, con suo padre?

"La sera prima. Saranno state le 23, 23.15. Io avevo giocato a calcio. Mi chiese com’era andata. Gli risposi che avevamo perso. Ma lui: ‘Non preoccuparti, perché vincerai altre partite’...".

Di via Fani che cosa conserva?

"Il borsello, quell’orologio. E la fede".

E ogni volta che li rivede – se è possibile chiederglielo – che cosa pensa?

"Che in fondo, anche se non è proprio il termine giusto, mi ritengo ‘fortunato’. E sa perché? Perché, bene o male, si sa chi ha sparato, quel giorno, in via Fani".

Vuole dire che sapere ha, in qualche modo, lenito il dolore?

"L’ha alleviato".

Una specie di catarsi...

"Che è servita".

Terroristi, non terroristi, misteri, dietrologie, studi, ipotesi e controipotesi. E le vittime. Come suo padre. Come lo definirebbe?

"Mio padre non è un eroe. Gli eroi sono miti. Lui era tutta un’altra cosa. Era un uomo che adorava il suo lavoro e la sua terra. Mio padre era un uomo dentro una divisa che gli si era incollata addosso. Lui trasmetteva il senso del dovere e dello Stato".

Ma lui era anche uno dei fedelissimi del presidente della Democrazia Cristiana. Ed era in quell’auto, la Fiat 130...

"Sì, la Fiat 130. Tremila e due di cilindrata. Lo sapevamo a memoria. Ne parlava come di uno di famiglia. E la mamma s’arrabbiava. ‘Tieni più più alla macchina che alla famiglia’, lo rimproverava".

E lei, che rapporto ha con quell’auto?

"Non la vedo più come la bara del babbo, ma come una cosa cara. Come il luogo che lui adorava. Come la fede. Come l’orologio Zenith. Come il borsello".

Ricordi. Come quello che, tutti gli anni, c’è in Vallesina, l’altra ‘cosa’ amata da suo padre.

"La commemorazione si terrà il 19 marzo, a San Paolo di Jesi. Ci sarà anche un convegno: ‘Domenico Ricci. Uomo delle Marche ed eroe nazionale’".

Lei è sempre stato per una memoria costruttiva. Dalla quale ripartire.

"Non odiamo. I figli e i nipoti non devono pagare le colpe dei padri".

Padri, figli. E nipoti. Il nipote di Domenico Ricci, suo figlio, come ricorda il nonno?

"Si chiama anche lui Domenico. Sì, Domenico Ricci. E’ al secondo anno di Scienze Politiche. E si è preso un anno sabbatico. E sa perché? Perché sta studiando per un corso: sottufficiale dell’Arma".

Giovanni Ricci, lei ha mai conosciuto Aldo Moro?

"Era l’estate del ’76, una delle rare domeniche libere di mio padre. Ci portò a Terracina. Il presidente era lì, in spiaggia: in giacca, cravatta, vestito elegante. Il babbo ci presentò. Moro ci accarezzò. Disse: ‘Mi raccomando, siate sempre bravi ed onesti. Proprio come lo è il vostro papà’".