Mercoledì 24 Aprile 2024

Garellik, l’uomo degli scudetti impossibili

Addio a Claudio Garella, portiere del Verona campione nell’85 e del Napoli tricolore nell’87: parava con i piedi, ma vinceva lui

Migration

di Doriano Rabotti

Muoiono anche i supereroi con la pancetta, quelli che per essere divinità dello sport avrebbero dovuto essere completamente diversi, quelli che con le loro imperfezioni rappresentavano al meglio il potere della nostra fantasia. E’ per questo motivo, perché lo sentivamo come uno di noi, che siamo tutti tristi alla notizia della scomparsa di Claudio Garella. Il portiere degli scudetti impossibili perché mai vinti prima di allora, certo: quelli del Verona operaio di Bagnoli e del Napoli che stava diventando grande intorno a Diego Armando Maradona (e lunedì c’è proprio Verona-Napoli).

Ma sarebbe sbagliato ridurre la grandezza sportiva di Garellik, come lo chiamavano a fine carriera, ai soli risultati, pur eccezionali. Perché la vera vittoria di Garella è stata un’altra: entrare in punta di piedi, quelli con cui preferiva parare, nell’Olimpo dei grandi vincenti, lui che non aveva una faccia da fotoromanzo, non aveva un fisico da rambo di palestra, non aveva neanche una parlantina da intervista televisiva, anche per via della sua timidezza che non lo ha lasciato nemmeno all’ultimo.

Forte era forte, lo dicono i numeri della sua carriera. Ma come portiere era tecnicamente diverso da tutti gli altri, puro istinto e una tecnica diciamo migliorabile. Eppure efficacissima. Disse di lui l’avvocato Agnelli, con una delle sue battute immortali: "Garella è il miglior portiere del mondo, senza mani però".

Perché la respinta di piede era il suo marchio di fabbrica e anche la metafora della sua concretezza. La stessa di quel Verona, che seppe vincere lo scudetto con il tedesco Briegel e il danese Elkjaer stranieri solidi di un gruppo di pirati. Ma anche quella che portò in un Napoli che stava diventando grande, eppure ancora doveva completare la scalata.

Raccontava ieri Giuseppe Bruscolotti, altra bandiera ’proletaria’ di quel Napoli: "Claudio fermava la palla col ginocchio, con lo stinco, con qualsiasi cosa. Una volta gli chiedemmo di farci vedere una bella parata, lui rispose che l’importante era che non entrasse".

L’importante è che la palla non entri, potrebbe essere il motto di una vita sportiva che sembra un fumetto, ma di quelli in cui il primo superpotere è l’ironia. Come quella volta che Italo Allodi, direttore generale del Napoli, dopo una papera lo accolse a cena facendogli trovare un paio di occhialoni per vedere meglio il pallone, e tutti a ridere.

Agli inizi il soprannome era stato anche Paperella (precursore di Paperumma, volendo...), perché ogni tanto gli scappava qualche errore di troppo. In mezzo, Beppe Viola inventò la ’garellata’, per definire uno svarione imprevedibile. Ma poi Sandro Ciotti chiuse un collegamento con ’Roma-Garella 0-0’, dopo una serie di prodezze tra i pali, e fu infine Bisteccone Galeazzi a cambiare definitivamente il soprannome in Garellik, il supereroe della porta, strappandogli un sorriso.

Ecco, quando il tuo nome e quello che rappresenti riescono a cambiare anche il linguaggio, vuol dire che hai fatto qualcosa destinato a restare per sempre.