Martedì 23 Aprile 2024

Addio Lauda, vivrai per sempre nei nostri cuori

Le tre vite del campione austriaco. Da pilota a imprenditore, risorgendo da quella maledetta domenica al Nurburgring

Niki Lauda e Luca Cordero di Montezemolo (Alive)

Niki Lauda e Luca Cordero di Montezemolo (Alive)

Modena, 21 maggio 2019 - Dire addio a Niki Lauda, andato a sgommare in paradiso a settant’anni, significa congedarsi dall’uomo che visse tre volte. Marchiando indelebilmente, con il suo carisma, intere generazioni.

La prima vita di Niki è quella di un rampollo di famiglia benestante cui solo l’emozione della velocità pare garantire il piacere dell’esistenza.

Lauda nel 1973 è in Formula Uno con la BRM. Partner del ticinese Regazzoni, lo segue in Ferrari nel 1974. Lo svizzero è più esperto ma meno bravo. In poche settimane l’austriaco conquista la stima del Vecchio di Maranello. Sfiora subito il titolo. Lo vince nel 1975. Nasce un mito. Di lui Mauro Forghieri, dt del Cavallino, continua a ripetere (ancora oggi): “È’ stato il primo pilota moderno, perfetto e quasi ossessivo nella ricerca del miglior assetto, un fuoriclasse meticoloso e fuori dal comune”.

La seconda vita di Niki comincia, orribilmente, una domenica di agosto del 1976. Nurburgring. L’austriaco sta rivincendo il titolo con la Rossa. Sbanda nella foresta. L’auto sbatte. Le fiamme. Un rogo spaventoso. Sarebbe la fine, se l’eroico collega Arturo Merzario non si gettasse tra le lingue di fuoco.

Niki è sfigurato ma lucido. “Arturo, dimmi com’è il mio volto”, urla quando gli tolgono il casco. Poi rischia di morire per l’avvelenamento dei polmoni e a Maranello il cinicamente pragmatico Ferrari si mette immediatamente a cercare il sostituto.

Invece dopo 40 giorni Niki risorge. Ha le bende, da sotto le garze cola sangue, ma non importa. Guida ancora. Va a Monza in un delirio per popolo per un evento mistico, esoterico, un rito pagano.

Quel mondiale l’austriaco lo perde di un punto, a beneficio di James Hunt. Perde perché la paura indicibile riaffiora nel diluvio del Fuji, in Giappone. Niki si arrende, è un uomo piagato è piegato. Forghieri al box per aiutarlo gli dice: racconterò che si è rotta la macchina, per tutelare la tua immagine. Ma Lauda replica: no, devi dire la verità, ho avuto paura.

Personaggio incredibile, in ogni sfumatura. Si rifà con il titolo nel 1977, ma di Ferrari non si fida più, non gli perdona di averlo dato per morto troppo presto. Se ne va sbattendo la porta, si accasa alla Brabham di Bernie Ecclestone ma si stufa presto, a fine 1979 si ritira dalle corse.

La terza vita è arrivata. Lauda ha i soldi, tanti, e ha la passione. Del volo. Fonda una compagnia aerea. È geniale anche da imprenditore ma gli servono altri quattrini. Così, torna in pista con la McLaren e nel 1984 conquista il terzo titolo, beffando il compagno Prost di mezzo punto. E l’anno dopo smette per sempre.

Niki è una leggenda e lo sa. Ha i suoi aerei, ha anche i suoi guai, cambia moglie, ha bisogno di un trapianto di reni, gira con quella faccia un po’ così che gli è rimasta dopo il rogo, “io no plastica facciale, io contento viso che ho, cose andate così, bene”.

Niki è adorabile perché sempre dice quello che pensa. Fa il consulente ai box per la Ferrari negli anni Novanta, poi dirige il team Jaguar, quindi diventa presidente del team Mercedes, è lui a portare Lewis Hamilton sulla Freccia d’Argento.

Sembra immortale, forse sta preparando una quarta vita, invece arriva una brutta tosse ma non è solo tosse. Gli trapiantano un polmone, io ripenso a quando lo vidi per la prima volta da vicino nel 1976 a Fiorano, quando risorse in pista. Non può morire, uno così.

E infatti, nei cuori nostri, vivrà per sempre.