Mercoledì 24 Aprile 2024

Ferrari, Mazzola: "L'impronta decisiva di Schumi per la Mercedes"

Il parere dell’ingegnere: "Oggi le Frecce d’argento non sarebbero così dominanti se non avessero avuto lui"

Luigi Mazzola con Michael Schumacher (da Qn)

Luigi Mazzola con Michael Schumacher (da Qn)

Maranello, 28 dicembre 2017 - «C’è una cosa che a tanti sfugge: senza l’impronta data da Schumi nel triennio 2010-2012, oggi il team Mercedes non sarebbe così dominante… ». Luigi Mazzola, classe 1962, ferrarese d’origine e… ferrarista d’adozione, è stato l’ingegnere capo della squadra prove di Maranello dal 1995 al 2006. Allora in Formula Uno i test erano liberi. «E ciò significa – sussurra il tecnico emiliano, oggi di professione mental coach per le aziende – che ho speso centiniaia e centinaia di giornate accanto a Michael. Ne vado orgoglioso».

Com’era sul lavoro?

«Puntuale, esigente, disponibile. Ma a me piace ricordare l’aspetto umano, perché sul pilota è persino inutile spendere parole, è stato il più grande».

Dicono fosse un tipo freddo, molto riservato.

«E si sbagliano».

In cosa?

«Schumacher ha sempre voluto tenere rigidamente separata l’immagine pubblica da quella privata. Con voi giornalisti certamente non era espansivo. Ma con chi lavorava con lui e per lui si apriva senza riserve».

Faceva gruppo.

«Esattamente. Lui non ha mai pensato di poter vincere da solo! Si rendeva conto che la conquista del successo è sempre frutto di uno sforzo collettivo. Per questo la sua migliore qualità era persino estranea al talento di guida».

In che senso?

«Enzo Ferrari definiva se stesso un agitatore di uomini. Schumi, uguale: sapeva motivare la squadra in una maniera speciale. Mi viene in mente una volta in pista, stavamo sperimentando un nuovo sistema di trazione. Lui si cala nell’abitacolo, percorre un po’ di giri, alla fine rientra e… ».

E?

«Sollevò la visiera del casco e aveva gli occhi lucidi, perché il progetto funzionava e lui era consapevole di quanto tutti ci fossimo impegnati per raggiungere lo scopo. Insomma, non era un alieno che dall’alto impartiva una benedizione astrale. Era Michael Schumacher e al tempo stesso era uno di noi».

Vi aspettavate, voi che per dieci anni avevate lavorato con lui in Ferrari, che nel 2010 potesse tornare ai Gran Premi al volante di una Mercedes?

«Parlo per me: ho capito che fu conquistato dall’idea di Ross Brawn di rilanciare un grande marchio dell’automobilismo a livello di Formula Uno. La Mercedes sta raccogliendo adesso quanto seminato da Michael e da Ross. Per entrambi era una sfida epocale e a Schumi le sfide sono sempre piaciute».

Adesso ne sta affrontando una difficilissima.

«Capire gli intrecci del destino è impossibile, per noi esseri umani. Non ho notizie sul suo stato di salute, ma siamo in tantissimi a sperare e a pregare per lui».