Venerdì 19 Aprile 2024

Le Mans 66, tutte le fantasie del film. Come sono andate davvero le cose

Esce il film americano sul duello con Ford. Il Drake, in realtà, a Le Mans nel 1966 non ci andò per nulla

Christian Bale e Matt Damon in  'Le Mans 66 - La grande sfida' (Ansa)

Christian Bale e Matt Damon in 'Le Mans 66 - La grande sfida' (Ansa)

Roma, 14 novembre 2019 - Non da oggi gli americani sono bravissimi a raccontare le loro favole cinematografiche. Hollywood da sempre palesa una comprensibile tendenza a manipolare le storie vere, ovviamente nel legittimo tentativo di renderle più spettacolari. Del resto, è un classico: al cinema, come nel Far West, tra la leggenda e la realtà, insomma, deve vincere la leggenda...

Non mi sorprendono, allora, le licenze poetiche, chiamiamole così, che costellano "Le Mans66 - La grande sfida", il film che ricostruisce, molto a stelle e strisce!, la celebre rivalità tra Enzo Ferrari ed Henry Ford, due giganti di un Novecento che anche grazie a loro si innamorò dell’automobile. Intendiamoci: io non sono un critico cinematografico, il film si lascia guardare volentieri e il potere magnetico di star come Matt Damon e Chris Bale è indiscutibile.

Solo che. Solo che è un po’ grossa sostenere che il Drake di Maranello (mirabilmente interpretato da Remo Girone, attore fantastico, era l’indimenticabile Tano Cariddi della Piovra televisiva) si recò di persona alla 24 Ore di Le Mans, nel 1966, per vedere le sue macchine battere quelle di mister Ford, salvo poi restare deluso dal risultato negativo.

Semplicemente, non è vero. Non è mai accaduto. All’epoca Ferrari aveva smesso da un pezzo di andare alle corse. Ma ad Hollywood conveniva immaginare il contrario...

È vero invece, per stare alla ricostruzione americana, che a Detroit si erano ferocemente irritati con Enzo il modenese per il suo rifiuto di vendere la Ferrari alla Ford nel 1963. La trattativa ormai era arrivata in porto ma nel grande italiano prevalse lo spirito patriottico. In un senso non comparabile al linguaggio politico moderno, il Drake di Maranello si considerava, lui sì, sovranista. Cedere il frutto di una vita, la sua, allo straniero, per quanto potente ed importante, ecco, cozzava contro l’istinto dell’uomo. Che dunque si tenne l’azienda, garantendole poi un futuro tricolore tramite l’accordo con Gianni Agnelli.

Quel “no” scatenò la furia di Ford, che pure ammirava profondamente il Davide di Maranello. Il Golia Usa impiegò tutte le sue risorse per prendersi la rivincita in pista e in effetti a Le Mans, nel 1966, il gigante ebbe la sua soddisfazione. Anche qui, però, la storia merita di essere raccontata fino alla fine.

Il duello non si esaurì con la suggestiva battaglia della 24 Ore disputata in terra di Francia. Meno di un anno più tardi, nel 1967, a Daytona, in Florida, Enzo Ferrari chiude definitivamente la partita, conquistando il più grande trionfo con le macchine “a ruote coperte”. In America, a casa di Henry Ford, tre vetture del Cavallino, la prima guidata da Lorenzo Bandini e Chris Amon, firmarono una spettacolare tripletta. Prima Ferrari, seconda Ferrari, terza Ferrari: così titolarono i giornali. Dubito molto che su questo a Hollywood ci faranno un film. Anche gli americani sono sovranisti, quando fa loro comodo...